Non sono serviti gli appelli e né le raccolta firme. Il governo, nell’ultimo giorno utile, ha deciso di costituirsi davanti alla Corte costituzionale nel conflitto dalla Corte di Assise di Milano al termine del processo a Marco Cappato per la morte di Fabiano Antoniani, noto come dj Fabo. I giudici, lo scorso febbraio, al termine del processo a Cappato, avevano deciso di trasmettere gli atti alla Consulta per valutare la legittimità costituzionale del reato di aiuto al suicidio contestato all’esponente dei Radicali. Per i giudici milanesi l’esponente non ha rafforzato il proposito suicidiario e la parte della norma che punisce l’agevolazione al suicidio senza influenza sulla volontà dell’altra persona è costituzionalmente illegittima. Due, nella fattispecie, i profili di incostituzionalità: l’equiparazione tra aiuto e istigazione al suicidio (articolo 580 del codice penale) e la conseguente sproporzione della condanna per l’aiuto al suicidio (dai 6 ai 12 anni, come per l’istigazione).
Il governo aveva tempo fino a oggi per decidere di costituire l’avvocatura dello Stato nel procedimento. Nei giorni scorsi l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica aveva lanciato un appello di giuristi sottoscritto da almeno 15mila italiani per chiedere al governo di non intervenire a difesa del reato e dunque di non dare mandato all’avvocatura di Stato di costituirsi in tale procedimento. L’avvocatura, al contrario, ha dato seguito alla richiesta della presidenza del Consiglio, presentando una memoria di 18 pagine – estensore l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri – in cui contesta l’infondatezza dell’eccezione dei giudici di Milano e difende la costituzionalità del reato di aiuto al suicidio. In sostanza, questa la tesi sostenuta dalla presidenza del Consiglio, i magistrati non avevano alcuna necessità di rivolgersi alla Consulta. Il perché lo spiegano direttamente dal ministero della Giustizia. Secondo via Arenula è possibile un’interpretazione della norma che sia rispettosa dei principi costituzionali. La legge, spiegano, sanziona l’agevolazione delle condotte strettamente esecutive dell’atto suicidario e non anche il comportamento di chi, nel rispetto delle volontà del malato, gli fornisca le informazioni e la collaborazione nelle fasi antecedenti al compimento materiale del gesto. La Corte potrebbe perciò definire il giudizio con una cosiddetta sentenza interpretativa di rigetto, cioè fornendo i criteri per una interpretazione costituzionalmente orientata della norma. Mentre, è il parere del governo, la dichiarazione di incostituzionalità secca della norma potrebbe lasciare impunite condotte che nulla hanno a che fare con la tematica del rispetto delle volontà dei malati terminali.
Nel corso del processo davanti all’Assise sia l’accusa che la difesa avevano chiesto l’assoluzione, mettendo in luce che Cappato aiutò Fabo “a esercitare un suo diritto, non il diritto al suicidio ma il diritto alla dignità” nel morire. In subordine, avevano chiesto appunto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Iniziato lo scorso 8 novembre, il processo all’esponente dei Radicali era scaturito prima dall’autodenuncia dello stesso Cappato ai carabinieri di Milano il 28 febbraio 2017, il giorno dopo la morte nella clinica ‘Dignitas‘ di Antoniani, e poi dalla decisione del gip Luigi Gargiulo, che respinse la richiesta di archiviazione della Procura e ordinò l’imputazione coatta per Cappato, spiegando che l’imputato non solo aiutò Fabo a suicidarsi, ma lo avrebbe anche spinto a ricorrere al suicidio assistito, “rafforzando” il suo proposito. Accusa, quest’ultima, che non ritenuta fondata dalla Corte d’Assise, che ha deciso di assolvere Cappato perché la sua condotta – si legge nelle motivazioni – “non ha inciso sulla decisione di Antoniani di mettere fine alla sua vita e quindi va assolto dall’accusa di aver rafforzato il suo proposito suicidiario“. Il 27 febbraio scorso Cappato aveva riccordato che grazie al caso di Dj Fabo oggi in Italia abbiamo una legge sul Biotestamento, Poco più di un anno fa in Svizzera il 40enne, diventato tetraplegico e cieco in seguito a un incidente stradale, sceglieva di morire in Svizzera.
“La scelta del governo è, oltre che del tutto legittima, anche pienamente politica, visto che l’esecutivo avrebbe potuto altrettanto legittimamente agire in senso opposto e raccogliere l’appello lanciato da giuristi come Paolo Veronesi, Emilio Dolcini, Nerina Boschiero, Ernesto Bettinelli e sottoscritto da 15.000 cittadini, che chiedevano al governo italiano di non intervenire a difesa della costituzionalità di quel reato, e dunque di non dare mandato all’avvocatura di Stato di costituirsi in tale procedimento”, commenta l’avvocato Filomena Gallo, coordinatore del collegio di difesa di Marco Cappato e segretario Associazione Luca Coscioni. “Prendo anche atto della richiesta di costituzione in giudizio di una serie di organizzazioni e gruppi che sempre si sono distinti per aver avversato in ogni modo il riconoscimento del diritto alla libertà e responsabilità individuale fino alla fine della vita”, prosegue il legale. “Il nostro obiettivo non cambia – conclude Gallo – vogliamo far prevalere, contro la lettera del codice penale del 1930, i principi di libertà e autodeterminazione riconosciuti dalla Costituzione italiana e dalla Convezione europea dei diritti umani, nella convinzione che Fabiano Antoniani avesse diritto a ottenere in Italia il tipo di assistenza che, a proprio rischio e pericolo, ha dovuto andare a cercare all’estero con l’aiuto di Marco Cappato”.
In una intervista al quotidiano L’Avvenire Cesare Mirabelli, ex presidente della Consulta, rispondendo ad alcune domande, ha spiegato che: “L’Avvocatura dello Stato interviene solitamente nei giudizi di legittimità costituzionale non solamente per ‘difendere’ un interesse rappresentato dal governo ma anche per assicurare nelle questioni di maggiore rilievo la dialettica che è opportuno caratterizzi ogni procedimento giurisdizionale. Ciò è particolarmente rilevante in questo caso. Le questioni di legittimità costituzionale proposte dall’ordinanza della Corte di assise di Milano hanno aspetti tecnici, che – il giudice – commenta riguardano anche la sua ammissibilità, problemi interpretativi e alternative nelle soluzioni. Sarebbe quindi singolare se mancasse la voce indipendente dell’Avvocatura, che consente un giusto approfondimento delle questioni. È singolare anche che si voglia avere nel processo una sola voce, senza che sia possibile prospettare tesi diverse, che sempre aiutano ad approfondire i problemi e a trovare corrette soluzioni”.