Per lei si tratta di uno schiaffo alla meritrocrazia, agli 11mila elettori che l’hanno votata, del simbolo di un partito che continua “in maniera assurda” a “proseguire la strada del declino” e ormai “schiavo dei cortigiani di Arcore” che compiono “scelte oscure”. E nessuno che spieghi, che motivi la decisione di escluderla dalla rosa di assessori di Forza Italia che lavoreranno nella giunta di Attilio Fontana in Lombardia, nonostante tra l’altro nella squadra si contino solo 5 donne e questo rischi di portare la Regione davanti al Tar.
A difesa di Silvia Sardone, ex consigliera di Zona 2 a Milano, poi finita a Palazzo Marino e ora neo-eletta consigliera regionale, si sono mossi anche Nunzia De Girolamo e Giovanni Toti. La prima espressione di quell’ala del partito che spinge per un rinnovamento e ha pagato il gioco delle liste sulla propria pelle; il secondo uomo di dialogo con la Lega e tra i più vicini (pure troppo, dicono dentro Fi) a Matteo Salvini.
Non un caso che tra le voci più alte intervenute per criticare la sua scomunica ci siano proprio loro due, in questo momento lontani dall’inner circle berlusconiano. Per il governatore ligure, Forza Italia ha “smarrito le stelle polari della razionalità politica” e nel partito c’è chi “odia degli elettori” se non si premia “il lavoro sul territorio”. Un appello accorato, il suo: “Se prendere oltre 11mila preferenze ed espugnare la roccaforte di Sesto San Giovanni non basta per meritarsi un posto nella Giunta regionale, difficile dire cosa siano il merito, l’impegno e la partecipazione“.
“Non ho ancora ricevuto alcuna motivazione per la mia esclusione dalla giunta regionale all’ultimo minuto”, accusa in una nota Sardone che ha scoperto di non essere nel nuovo governo lombardo solo nel momento in cui la giunta è stata annunciata. “Da giorni chiedo, invano, delle motivazioni dietro allo schiaffo alla meritocrazia e a migliaia di elettori. Credo sia importante che un partito che fu grande – attacca – provi a spiegare il perché continui, in maniera assurda, a proseguire la strada del declino, voluta da alcuni personaggi che da anni fanno scelte senza consenso personale, senza aver mai fatto un gazebo o conoscere minimamente il territorio e le esigenze dei cittadini”.
I “caminetti” li definirebbero sul fronte opposto. Ed è probabile che qualcosa del genere sia accaduto in Forza Italia, visto che della mossa di escludere Sardone, recentemente accusata dalla Corte dei Conti di un presunto danno erariale da oltre 240mila euro per quando guidava l’agenzia provinciale Afol, ne erano a conoscenza a Roma prima che a Milano. E che a difenderla ci sia quel Toti assai dialogante con la Lega nel delicato passaggio delle consultazioni al Quirinale e dopo lo strappo sulle presidenze delle Camere.
Sardone – tra l’altro moglie di Roberto Di Stefano, primo sindaco “azzurro” di Sesto San Giovanni sensibile alle istanze più pure del leghismo – da tempo spinge per un rinnovamento interno al partito. Ed negli ultimi quattro anni è stata tra i volti giovani più spesso finiti in televisione, dai tempi in Announo in poi. Con il benestare di Arcore, quel luogo dove ora si annidano, è la sua accusa, cortigiani che compiono scelte oscure.