Il reggente del Pd: "Sui temi come i dazi o sull'Europa ci sono differenze. E lo stesso Movimento mi pare non voglia un esecutivo con noi". L'ex tesoriere Ds: "Nel partito non c'è né strategia né tattica, l'ex segretario ripete solo 'stare all'opposizione' ma non è un ragionamento". La renziana Gualmini: "Dialogo non è tabù, siamo l'ago della bilancia"
Ascolteremo Mattarella, ma un governo con i Cinquestelle è “un percorso difficile” e un dialogo con Salvini e la destra è impossibile. La linea del reggente del Pd Maurizio Martina sembra quella di un trapezista che cammina sul filo teso, bisogna capire ancora con o senza rete per il partito. A ventiquattro ore dall’inizio delle consultazioni che si concluderanno giovedì pomeriggio, il Partito democratico si adegua al resto del panorama: ciascuno, in questo primo giro al Quirinale, è ben inchiodato sulla propria posizione. Dice Martina a Circo Massimo su Radio Capital: “Ho visto in questi giorni post elezioni un ipertatticismo, figlio di tempi che non si vedevano da un bel po’. Noi rappresentiamo l’alternativa al centrodestra e anche a diverse proposte di merito dei Cinquestelle”. Però le sfumature ci sono, almeno nel vocabolario che è l’unico indizio che resta in un quadro così congelato. Per Martin, infatti, un esecutivo sostenuto insieme al M5s è difficile “perché non mi pare affatto che il Movimento abbia oggi quelle intenzioni. E poi conta il merito: ad esempio non ho capito dove vuole portare l’Italia il M5s dentro la partita europea. Ci sono scelte di merito che ci differenziano”. E lo stesso vale per l’ipotesi opposta, una stampella a un governo di centrodestra: “Ci sono punti sostanziali di merito che fanno la differenza – ripete – Posso fare qualche esempio: la questione dei dazi di queste settimane, che sono sempre stati sostenuti da Salvini, per noi sarebbero una prospettiva devastante. Non possiamo permetterci di fare da stampella a un governo che dà questa prospettiva. A giugno poi nel Consiglio europeo si discuterà la revisione del trattato di Dublino: noi lo vogliamo modificare, la Lega votò contro“.
La lettura molto più terra terra è quella di Ugo Sposetti, ex parlamentare del Pd e prima ancora dirigente dei Ds e del Pci: nella realtà, spiega a 6 su Radio 1, “oggi nel Pd siamo fermi: non c’è né strategia né tattica. L’unica cosa che la direzione ha deciso è di stare all’opposizione ed è diventato il Vangelo. In tanti anni di politica non avevo mai visto nulla di simile. Il Partito Comunista era democratico, c’era una discussione. Renzi sa ripetere continuamente come un mantra ‘stare all’opposizione‘ ma non è un ragionamento politico“. Al contrario “io farei iniziative politiche, perché è un suicidio che il secondo partito politico non abbia rappresentanza adeguata nei ruoli istituzionali. Ma ho fiducia nella saggezza e nella volontà di dare un governo al Paese da parte di forze sociali, economiche”. E d’altra parte, aggiunge Sposetti, non c’è stato un metodo nemmeno nella realizzazione delle liste dei candidati: “Ha deciso Renzi e qualche suo amichetto o amichetta. La questione delle donne è scandalosa, non c’è stata alcuna ribellione delle nostre donne. Se candido in 6 posti diversi 5 o 6 donne, significa che candido 30 donne in meno. Non se ne è discusso nemmeno dopo il voto”.
Ma allora cosa dirà il Pd al presidente della Repubblica? Martina risponde così: “Quel che abbiamo detto quando con la direzione, dopo la sconfitta grave, pesante, abbiamo riconosciuto la necessità di lavorare dentro una responsabilità che è quella di minoranza parlamentare. Lavorare per confrontarci con gli altri su grandi temi che noi fanno la differenza per la prospettiva del Paese”. Ribadisce che “ascolteremo Mattarella e capiremo se nelle settimane a venire ci saranno indicazioni. Non siamo insensibili al suo lavoro delicato. Le altre forze politiche ora devono esplicitare la prospettiva che intendono dare al Paese. Non posso ragionare sui se e sui ma. Dico che un partito come il nostro ascolta sempre il presidente della Repubblica, i suoi indirizzi e le sue indicazioni: continueremo a farlo”. Martina garantisce che “non dobbiamo isolarci o metterci nel freezer, dobbiamo lavorare per ricostruire il nostro rapporto con il Paese e certamente dare battaglia in Parlamento. Se ci sarà la possibilità di costruire su alcuni punti fondamentali di proposta nostra intese o avanzamenti certo non dobbiamo sottrarci”.
Gualmini: ”
Segnali di disgelo si segnalano anche in aree insospettabili del partito. C’è per esempio la vicepresidente dell’Emilia Romagna, Elisabetta Gualmini, renziana convinta, che spiega che M5s e Lega “non sono due fotocopie” e che “su alcuni temi specifici con i Cinquestelle è possibile dialogare”. Per dire: il governo Gentiloni ha messo in campo il reddito di inclusione, “che poi alcune Regioni hanno potenziato, ad esempio in Emilia col reddito di solidarietà. Su questi temi perché non si può ragionare con chi propone il reddito di cittadinanza?”. Per questi motivi, ragiona la Gualmini, “se non si troverà un accordo, il Pd, che comunque è il secondo partito, può dire la sua e anche decidere di fare da ago della bilancia“.
Marcucci: “La posizione è stare all’opposizione”
Ma c’è l’inossidabile ala renziana a riportare il timone da un’altra parte: “La nostra delegazione ha un mandato chiaro da parte della direzione: in un rapporto di confronto e di rispetto per le prerogative del Colle, la posizione politica è stare all’opposizione, visto l’esito del voto” ribadisce Andrea Marcucci, capogruppo del Pd in Senato, in una intervista alla Stampa. “Tutto il Pd è il partito del dialogo, l’Aventino è una barzelletta – aggiunge – Noi vogliamo fare opposizione rilanciando i nostri programmi, esercitando il controllo ed accogliendo magari pure proposte della maggioranza, senza l’atteggiamento del no pregiudiziale che ebbe il M5s”.