Il matematico nel suo blog aveva attaccato il fondatore sull'intervista al Papa smentita dal Vaticano: "Alla maggior parte dei giornalisti non interessa la verità". Da qui la decisione del direttore Calabresi: "Non è per le critiche, ma per aver deriso la comunità in cui lavori"
Piergiorgio Odifreddi non scriverà più per Repubblica per decisione del direttore Mario Calabresi. La collaborazione del matematico e divulgatore con il giornale si conclude a causa dell’ultimo pezzo pubblicato nel suo blog Il non-senso della vita nel quale criticava il fondatore del quotidiano Eugenio Scalfari sull’intervista a Papa Francesco smentita dal Vaticano. Odifreddi nell’occasione era andato anche un po’ oltre chiedendosi “perché mai Repubblica non metta un freno alle fake news di Scalfari, e finga anzi addirittura di non accorgersene, quando tutto il resto del mondo ne parla e se ne scandalizza” e esprimendo l’impressione “che in fondo ai giornali della verità non importi nulla”. Su questo – spiega Calabresi – si fonda la decisione di interrompere qualsiasi collaborazione con Odifreddi che peraltro aveva vissuto altri momenti difficili, come nel 2012 quando il matematico trovò il suo blog cancellato perché aveva parlato di “logica nazista” attribuendola a Israele nei confronti della Palestina.
In questo caso, invece, la rottura definitiva dopo 18 anni (il primo articolo di Odifreddi su Repubblica è del 2000) tutto è dovuto all’intervista smentita di Scalfari a Bergoglio. “La maggior parte delle notizie che si stampano, o che si leggono sui siti, sono ovviamente delle fake news – aveva scritto Odifreddi – Non solo quelle sulla religione e sulla politica, che sono ambiti nei quali impera il detto di Nietzsche ‘Non ci sono fatti, solo interpretazioni’, ma anche quelle sulla scienza, dove ad attrarre l’attenzione sono quasi sempre e quasi solo le bufale. Alla maggior parte dei giornalisti e dei giornali non interessa le verità, ma gli scoop: cioè, le notizie che facciano parlare la maggior parte degli altri giornalisti e degli altri giornali. E se una notizia falsa fa parlare più di una vera, allora serve più quella di questa”. E’ questo il passaggio che ha spinto Calabresi alla rottura finale.
Da qui l’addio del matematico al giornale, forse prevedibile. “Il fatto che l’attuale versione del blog sia la 3.0 – scrive Odifreddi nell’ultimo post di commiato, dopo una lunga serie di ringraziamenti – ricorda che già in precedenza c’erano stati problemi di coabitazione, dovuti al fatto che gli intellettuali e i giornalisti svolgono funzioni diverse nella società. In particolare, come ricordava Moravia, ‘la funzione sociale dell’intellettuale è di essere antisociale‘, il che mal si concilia con il motto finale del Trattato di Wittgenstein, che regola invece le attività sociali: ‘Su ciò di cui non si può parlare, bisogna tacere'”. Quindi la sua “colpa sociale“, continua Odifreddi, è stata “aver sempre cercato di dire ciò che pensavo, anche quando sarebbe stato più comodo o più utile (e a volte, forse, anche più corretto o più giusto) tacere. Ma ciascuno di noi è fatto a modo suo, e io sono fatto così”. Odifreddi ha commentato che Calabresi ha preso la decisione di terminare la collaborazione “com’era non solo suo diritto, ma forse anche suo dovere“.
Calabresi, dopo aver espresso “dispiacere“, spiega che la decisione di non far scrivere più Odifreddi “non accade per le critiche a Scalfari, che sono lecite e fanno parte di un libero dibattito, ma per quello che hai scritto del giornale con cui collabori da anni. Il problema è che non si può collaborare con un giornale e contemporaneamente sostenere che della verità ai giornalisti non importa nulla. Che oggi serva di più pubblicare il falso del vero. Questo è inaccettabile e intollerabile, non solo per me ma per tutti quelli che lavorano qui. Facciamo il nostro lavoro con passione e con professionalità e la gratuità delle tue parole di ieri ci ha fatto male”. Il direttore di Repubblica ricorda a Odifreddi “di aver sempre goduto della massima libertà, ma l’unica libertà che non ci si può prendere è quella di insultare o deridere la comunità con cui si lavora”.