Un’intera vallata alle porte di Roma trasformata in un cimitero dei frigoriferi. Oltre 60 ettari per quella che gli abitanti della zona pensano si tratti della discarica abusiva più grande d’Italia. Sono diverse centinaia gli elettrodomestici usati adagiati in un terreno privato abbandonato, formalmente compreso nel perimetro del comune di Tivoli (località Bagni di Tivoli) ma distante qualche decina di metri dal confine con la Capitale, disegnato a sua volta lungo il tracciato del fiume Aniene. Il colpo d’occhio è sconcertante già dalla bretella dell’Autostrada A1 che attraversa l’area tiburtina, tale da non far invidia ai “panorami” scrutabili nei pressi di discariche ufficiali come Malagrotta e Inviolata. Una bomba ecologica, fra l’altro, considerando l’elevato rischio incendi dell’area ma anche gli effetti delle consuete esondazioni del principale affluente del Tevere.

Entrando nel cuore dell’area dove decenni fa la Stacchini realizzava le sue celebri polveri da sparo, l’odore è acre e somiglia quasi a quello del gas metano. Gli elettrodomestici, come detto, sono rivestiti soltanto di un polistirene giallastro, sparso ovunque fra cespugli, calcinacci e carcasse di animali morti. Qualche rogo c’è stato, seppur di piccola entità, e lo testimoniano i punti in cui il materiale e pressoché carbonizzato.

La domanda è: chi ha scaricato (o chi continua a scaricare) tutti questi rifiuti ingombranti? “Abbiamo motivo di credere che alcune aziende di smaltimento, che lavorano per le grandi catene di elettrodomestici della zona, per anni abbiano volutamente scambiato questo posto per una discarica”, racconta a IlFattoQuotidiano.it il sindaco di Tivoli, Giuseppe Proietti. “Recentemente – spiega il primo cittadino tiburtino – abbiamo pizzicato sul fatto ditte anche importanti. Da quando abbiamo recintato l’area, chiudendo le vie di accesso almeno ai veicoli, gli scarichi sono decisamente diminuiti”.

Va detto che da 8 anni – decreto 65/2010 del Ministero Ambiente – i commercianti di elettrodomestici e dei cosiddetti AEE (Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) sono da una parte obbligati a ritirare i prodotti usati e, dall’altra, trattengono sul prezzo di vendita una quota destinata al corretto smaltimento, già applicato dal produttore. Per i grandi elettrodomestici, dunque, il “contributo” è di 5,00 euro per forni, lavatrici, lavastoviglie e stufe, 16,00 euro per frigorifero e congelatore, 2 euro per piani cottura, 7 euro per scaldabagni oltre ai 30 litri. Come detto, il frigo è probabilmente l’elettrodomestico con la presenza maggiore di materiale “pregiato”. Così, da una parte il rivenditore disonesto – o chi per esso – trattiene la quota riservata sul prezzo di vendita e dall’altro guadagna spogliando il prodotto e gettandolo nella discarica abusiva.

L’area, come detto, è privata. Ma i rischi sono pubblici e assolutamente rilevanti. “Un incendio in quella zona potrebbe portare a un disastro simile a quello dell’EcoX di Pomezia”, afferma Paolo Cartasso, presidente dell’associazione Case Rosse, che da anni si batte per portare alla luce gli effetti della cosiddetta “Terra dei Fuochi di Roma Est”, il quale teme anche la possibilità che “il materiale contenuto nei frigo possa essersi riversato nel terreno”. “E’ per questo motivo – risponde a distanza il sindaco Proietti – che la società che sta trattando l’acquisto dei 63 ettari si è impegnata ad effettuare a breve un’indagine propedeutica alla bonifica, per conoscere la natura dei rifiuti”.

I costi? “Molto elevati, diversi milioni di euro, sostenibili solo da un soggetto privato, non da un’amministrazione pubblica per giunta limitata come il piccolo comune di Tivoli”. E perché non si è provveduto prima? “L’ordinanza per la bonifica l’ho firmata due anni fa, ma nel frattempo l’ultimo proprietario ha dovuto ritirarsi dall’investimento e ora siamo in trattativa con quest’altra società”. Il progetto è quello di un polo logistico, “ma prima bisogna effettuare la bonifica, e alla svelta: ho già presentato due esposti-denuncia in Procura in tal senso”.

La città di Roma è spettatrice interessata della sconcertante situazione di Bagni di Tivoli, non solo per l’estrema vicinanza con quartieri già molto provati sul fronte ambientale (Lunghezzina, Castelverde, San Vittorino). Il fiume Aniene, infatti, è diretto affluente del Tevere e il materiale di risulta spesso viaggia per decine di chilometri, fino a tornare a galla nei tratti centrali della Capitale, o addirittura alla foce di Ostia-Fiumicino.

Nelle scorse settimane, all’altezza del Circolo Tevere Remo (Ponte Regina Margherita) è stata ritrovata un’isola galleggiante piena di frigoriferi da bar. Federico Di Penta, dell’Associazione Mare Vivo ritiene che “con le piogge i fiumi si trasformano in nastri trasportatori e i materiali finiscono in mare, fra l’altro mettendo a rischio l’incolumità dei piccoli naviganti. Di questi frigo ne abbiamo avvistati almeno 40”. Giorni fa, in un’intervista a RomaToday, il coordinatore nazionale Uisp Acquaviva, Gianni Russo, aveva paventato la possibilità che il materiale potesse prevenire da una mini-discarica abusiva nei pressi di via di Salone. Chissà che l’origine di questo fenomeno non vada davvero ricercata qualche chilometro più ad est.

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