Il Capo politico M5s, dopo il colloquio con il presidente della Repubblica, ha scelto di esordire dicendo che "l’Italia resterà alleata dell’Occidente nel Patto atlantico, nell’Unione europea e monetaria". E ha poi specificato di rivolgersi a tutti i democratici e non solo all'anima dialogante. Gli interlocutori sono due, rimane in partita anche la Lega, ma l'obiettivo è dimostrare apertura a Martina e ai suoi
Non si sa cosa Luigi Di Maio e Sergio Mattarella si siano detti nei 45 minuti di colloquio al Colle, ma si sa cosa il capo politico M5s ha scelto di dichiarare davanti ai giornalisti all’uscita. “Con noi al governo”, ha esordito, “l’Italia resterà alleata dell’Occidente nel Patto atlantico, nell’Unione europea e monetaria: è questo l’obiettivo ribadito al presidente della Repubblica”. Un messaggio di stabilità, europeista e atlantico, che parla al Capo dello Stato e all’Europa. Ma soprattutto al Partito democratico e che difficilmente può essere digeribile per la Lega. Quindi mentre Di Maio diceva che sono due gli “interlocutori a cui si rivolge” per il contratto di governo, Carroccio e dem, le sue parole volevano dire molto altro. Come confermano fonti M5s a ilfattoquotidiano.it, il leader 5 stelle ha scelto di spingere i segnali di apertura ai democratici. “Più di così non potevamo fare, ora tocca a loro”, commentano. Loro, inteso soprattutto i renziani, sembrano non aver intenzione di cedere, ma la guerra interna è appena iniziata. Tutte le strade sono aperte, ma la prova che qualcosa a colloquio con Mattarella è successo, tanto da convincere il M5s a rafforzare l’apertura a sinistra, non è solo nell’esordio. Di Maio ha infatti iniziato rivendicando la nuova faccia europeista, quella che a Bruxelles sta pure valutando di dialogare con Macron, e poi, per dire quasi fuori dai denti di stare parlando con i democratici ha aggiunto: “Le mie aperture sono sincere, ma voglio anche precisare che rispetto a quello che ho letto in questi giorni io non ho mai voluto spaccare il Pd, mi rivolgo al Pd nella sua interezza perché al di là delle differenze di vedute non ci permetteremo mai di interferire nelle loro dinamiche interne”. Una specifica probabilmente diventata necessaria proprio durante il colloquio con il presidente della Repubblica: non c’è più la condizione del parliamo ai dem solo senza Renzi o senza i personaggi non graditi al loro interno, ma piuttosto si rivendica un’apertura a tutta la componente del partito senza distinzioni.
Dal colloquio con Mattarella, spiegano dal M5s, i grillini sono usciti rafforzati sul metodo che fino a questo momento è stato riconosciuto essere “nel rispetto delle istituzioni”. E così intendono andare avanti. Il Capo dello Stato ha però anche ricordato, nel suo intervento finale davanti ai giornalisti, che per avere la maggioranza in Parlamento “serve un’intesa” tra i partiti e quindi ha invocato “la responsabilità” delle forze politiche. Ha poi parlato del tempo per riflettere “che sarà utile” agli attori politici, ma anche a lui. Insomma il messaggio è chiaro e i grillini lo hanno recepito, dichiarando di aver discusso con tutti e di non voler mettere veti: “Non abbiamo posto veti a nessuno, abbiamo discusso di temi, ci siamo fatti un’idea di quali potessero essere gli interlocutori per un governo del cambiamento. Dal voto è chiaro che sono emersi tre messaggi: al governo deve andarci chi è legittimato dal popolo; sono stati bocciati i governissimi, i governi tecnici, i governi di scopo; governare per cambiare e non per continuare a sopravvivere; mettere al centro soluzioni e non giochi di Palazzo”.
Questo non vuol dire che l’accordo con il Partito democratico sia già pronto. Anzi. I dem sono spaccati al loro interno e non riescono a trovare una linea: da una parte i renziani continuano a chiudere di fronte a ogni ipotesi di dialogo, dall’altra l’anima dialogante fatica a imporsi senza prima passare dall’assemblea. Difficile prevedere cosa succederà. “Sono convinto che scenderanno a miti consigli”, ha detto a “Porta a porta” il capogruppo M5s Danilo Toninelli. “Nel Pd ci sono molte anime, anche quelle dialoganti”, se “non vuole scendere al 5% in poche settimane. Sono convinto che la notte e il fine settimana portino consiglio. Il Pd oggi non ha Renzi come segretario ma Martina, con il quale abbiamo interloquito con serenità”. E poco prima, a forzare la mano giocando sul campo della “responsabilità” era stato proprio Di Maio: “Penso che debba essere almeno riconosciuta la responsabilità“, aveva detto, “che sentiamo di trovare una soluzione per trovare un governo al Paese. Interloquiamo con le forze politiche, individuiamo lo strumento, ora spero che chi ci chiede responsabilità possa mettere al centro gli interessi degli italiani e non i propri”.
L’altro fronte, quello della Lega, non è chiuso per niente. Anche se rimane l’ostacolo più grande: il Carroccio deve mollare Silvio Berlusconi per potersi sedere al tavolo con i 5 stelle. Il Capo politico M5s, per motivare il veto all’ex Cavaliere, ha detto di non riconoscere la coalizione di centrodestra come entità compatta e credibile. “Non vogliamo spaccare la coalizione di centrodestra”, ha detto davanti ai giornalisti, “ma non riconosciamo una coalizione di centrodestra, perché non solo si sono presentati alle elezioni con tre candidati premier ma perché si sono preparati alle consultazioni separati. E una di queste forze non riconosce il M5s, perciò ci rivolgiamo alla Lega“. La chiusura tra l’ex Cavaliere e Di Maio certo è reciproca: Berlusconi in mattinata a Mattarella ha detto “no ai governi populisti e giustizialisti”, ovvero no ai 5 stelle. Una mossa che hanno gelato dal Carroccio: “Ha sbagliato”, ha commentato Giancarlo Giorgetti. Segno che la Lega è ancora in partita, pronta a fare il suo gioco se il Partito democratico davvero dovesse scegliere la via del silenzio.