Cinema

Io sono tempesta, nelle sale dal 12 aprile il film con Giallini e Germano. E il regista Luchetti ‘provoca’: “Oggi un film su Berlusconi a chi può interessare?”

Luchetti prende lo scheletro di uno scontro/incontro epocale: l’ultraricco che incontra suo malgrado gli ultrapoveri. L’affarista che smuove con spregiudicatezza capitali immensi truffando il prossimo costretto a sturare la merda dai cessi dei disperati di un centro di accoglienza solo perché, proprio come il Cavaliere, gli è piovuta tra capo e collo una vecchia condanna per evasione fiscale

di Davide Turrini

Oggi un film su Berlusconi a chi può interessare qualcosa?”. Chissà che cosa ne direbbe Paolo Sorrentino dell’affermazione del collega Daniele Luchetti. Il regista romano con il suo Io sono tempesta (in sala dal 12 aprile) apre comunque il mese dei film che sfiorano e ricamano attorno alle gesta infinite del Cavaliere. Mese che proseguirà infatti con il torrentizio Loro 1 e Loro 2 nei cinema il 24 aprile e il 10 maggio. Per Luchetti quindi l’immagine di Berlusconi ai servizi sociali si è scolorita subito. “All’inizio sembrava uno spunto buono per una commedia ma dopo poco la storia era già stata scritta dai giornali. Abbiamo parlato anche con le assistenti sociali che erano intorno a lui, ma avevamo in mano troppo materiale prevedibile”. Allora niente ossessione per il tycoon nostrano. Nessuna rielaborazione della maschera abbronzata e sorridente con calotta da Big Jim.

Luchetti prende lo scheletro di uno scontro/incontro epocale: l’ultraricco che incontra suo malgrado gli ultrapoveri. L’affarista che smuove con spregiudicatezza capitali immensi truffando il prossimo costretto a sturare la merda dai cessi dei disperati di un centro di accoglienza solo perché, proprio come il Cavaliere, gli è piovuta tra capo e collo una vecchia condanna per evasione fiscale. Un film che rimanendo dalle parti della commedia all’italiana più pura sembra scritto da Zavattini e girato da Monicelli, mescolando lo sfondo surreale di Miracolo a Milano, le gesta buffe de I Soliti Ignoti, e anche qualche dose di cinica cattiveria dei protagonisti di un titolo qualunque di Dino Risi o Ettore Scola.

Protagonista del film è Numa Tempesta (il solito inappuntabile Marco Giallini) che dall’alto dei suoi cinque piani di un immenso e sciccoso hotel, dove vive da solo tra flipper, trenini, stucchi e Jacuzzi sul tetto, finisce per fare comunella con questo gruppo di dropout a cui insegnerà cos’è l’alta finanza. Ovvero un giochino facile e accessibile a chiunque, dove c’è sempre qualcuno più debole da “fottere”. Insegnamento che il gruppo (detto “la banda”), un rimescolio sciancato e riuscito di etnie e facce che si muovono trasportando carrelli, sedie a rotelle, e sportine di plastica, imparerà subito a mettere in pratica senza scrupoli. Soprattutto grazie all’iniziativa bonaria e gioviale di Bruno (un assai ispirato Elio Germano), piccolo commerciante finito sul lastrico con figlio sveglio a carico per tutto il film. Attorno a loro ruotano parecchie tracce da milieu berlusconiano come le olgettine qui però trasfigurate nel terzetto delle Radiose, giovanissime studentesse di psicologia che oltre a sollazzare sessualmente Numa nelle sue solitarie serate, scavano scherzosamente a fondo dell’inconscio di Tempesta e degli altri finendo, tra lingerie e zatteroni, leggiadre e fluttuanti come sirene nel mare di una fantasia popolare che richiama più l’onirismo felliniano che il velinismo televisivo contemporaneo. Numa è un farabutto vero: uno che corrompe i politici in Senato, che si presta a fare sesso con la direttrice un po’ frigida del centro di accoglienza per avere uno sconto di pena, che vende fumo agli investitori cinesi e arabi con una truffa in trasferta nel Kazakistan degna di Ocean’s Eleven.

Infatti Io sono tempesta non staziona di certo tra le maglie degli allappati schemi del cinema italiano impegnato con lezioncina morale o politica imposta all’incauto spettatore. Luchetti elabora con successo un progetto ambizioso, cerca una sua tonalità comica, un suo punto d’osservazione non formalmente omologato, un messa in scena sorprendentemente sopra le righe (aiutato molto nelle prima mezzora dal commento musicale svelto di Carlo Crivelli) rimescolando le carte etiche tra buoni e cattivi. “Nel mio film i buoni diventano più figli di puttana dei cattivi”, spiega Luchetti. “Ho voluto tenere un tono sul sociale diverso dal solito. Prima di scrivere il film assieme agli sceneggiatori ho osservato molto i ricconi come i poveri dei centri di accoglienza a Roma e a Milano. Ne è uscito uno sguardo che non va dall’alto al basso, ma che ritengo sia paritario. Del resto siamo un paese che ha vissuto il passaggio traumatico da un passato ideologizzato a un presente fortemente non ideologizzato. Anni fa speravamo nell’avvento del socialismo, ma gli “ismi” sono caduti e il mondo dei “social” si è affermato. Facendoci i selfie ci si sente oramai sullo stesso piano di chiunque”. Frame-stop: la soggettiva del figlio di Bruno mentre guida una macchinina a pedali nel lungo e sinistro corridoio dell’hotel di Tempesta. Se Spielberg entra dentro al vero Overlook Hotel di Kubrick grazie alla Warner (facile), Luchetti prova a navigarci innocente come un fanciullo senza risultare fuori luogo (meno facile).

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