L’ufficio della procuratrice della Corte penale internazionale ha acquisito nei giorni scorsi il rapporto del segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres sulla situazione in Libia. L’attenzione del Tribunale penale dell’Aia si è concentrata sulle accuse – dure e circostanziate – di violazione dei diritti dei migranti presenti nel territorio libico, che citano espressamente il Dipartimento per la lotta all’immigrazione clandestina e la Guardia costiera di Tripoli. La conferma dell’interesse della Corte penale internazionale è arrivata ieri direttamente dall’Aia.
Già lo scorso novembre la procuratrice Fatou Bensouda aveva dichiarato che i crimini contro i migranti detenuti o gestiti da trafficanti in Libia “potrebbero ricadere nella nostra giurisdizione”. Il Tribunale dell’Aia ha poteri d’intervento per i genocidi, i crimini di guerra o contro l’umanità. Bensouda, nel corso di una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, aveva dichiarato: “Se i seri crimini citati dallo statuto di Roma continuano ad essere commessi in Libia, non esiteremo ad applicare nuovi mandati di arresto”.
L’acquisizione del rapporto Onu del 12 febbraio, oltre a confermare l’esistenza di un fascicolo aperto sulla questione migranti in Libia, è un campanello di allarme che potrebbe suonare anche a Roma. Nel documento acquisito dall’Aia è riportata una dura accusa alla Guardia costiera di Tripoli: “La missione Onu Unsmil ha continuato a documentare una condotta spericolata e violenta da parte della Guardia costiera libica – scrive il segretario generale António Guterres – nel corso dei salvataggi e/o delle intercettazione in mare”.
Il gip di Catania, nel provvedimento di convalida del sequestro della nave della Ong spagnola Proactiva Open Arms, ha affermato che per quanto riguarda le operazioni di recupero dei migranti da parte della Guardia costiera di Tripoli “il coordinamento è sostanzialmente affidato alle forze della Marina Militare Italiana”. L’Italia da diversi mesi fornisce un diretto e ampio supporto alle motovedette libiche, con corsi di formazione, attività operative sul posto, anche attraverso la presenza di una unità navale militare nel porto di Tripoli, che funge da centro di comando congiunto per le azioni in mare. Martedì 3 aprile l’ambasciatore italiano a Tripoli Giuseppe Perrone aveva difeso l’operato della Guardia costiera libica: “Bisogna avere rispetto per gli uomini della Marina libica – sono le parole riportate dal Mattino – che lottano ogni giorno rischiando la vita contro i trafficanti”.
La recente strategia italiana sembra puntare ad un maggiore coinvolgimento dei libici nelle operazioni di soccorso, con una differenza sostanziale rispetto alle azioni della nostra marina e delle Ong: tutti i migranti recuperati dalle motovedette di Tripoli vengono riportati nei centri di detenzione, quegli stessi lager duramente accusati dall’Onu. Di fatto un respingimento, che l’Italia non può fare direttamente, pena una condanna davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, come già avvenuto nel 2011. L’aumento degli interventi della Guardia costiera libica, appoggiata dalla Marina italiana, sta poi creando una situazione di forte tensione con le Organizzazioni non governative, come accaduto diverse volte con la Open arms, la Sea Watch (il 6 novembre del 2017) e la Sos Méditerranée.
Il rapporto dell’Onu finito sul tavolo della Corte penale internazionale denuncia, infine, con durezza anche i centri di detenzione per migranti che operano in Libia, dove vengono portati i naufraghi recuperati in mare dalla Guardia costiera di Tripoli. Scrive il segretario generale dell’Onu: “I migranti sono sottoposti ad arresti arbitrari e torture (…). Gli autori sono ufficiali dello Stato, gruppi armati, trafficanti di uomini e gang criminali”.