Cinema

Dopo la guerra, brigatisti in fuga e omicidio Biagi. Annarita Zambrano fa rivivere la ferita mai rimarginata del terrorismo italiano in un film con Giuseppe Battiston

L’ex terrorista scappato in Francia da vent’anni grazie alla dottrina Mitterand, vive nel timore di essere arrestato e fugge nella campagna con la figlia adolescente. La sorella insegnante in Italia vive di rimbalzo l’astio dell’opinione pubblica sulla propria pelle. “Il film non vuole dare risposte giuridiche, ma è piuttosto una riflessione sulla colpa, umana e politica”, spiega la regista. In sala dal 3 maggio 2018 grazie ad I Wonder

di Davide Turrini

I crimini delle Brigate Rosse continuano ad infettare il presente. Una ferita ancora aperta rappresentata con dardenniano realismo da Annarita Zambrano in Dopo la guerra, film che uscirà nelle sale italiane dal 3 maggio 2018, grazie ad I Wonder Pictures. La storia inizia nel 2002, anno chiave in cui in Francia si chiude l’epoca della “dottrina Mitterand” – una politica che consentiva ai terroristi condannati di rimanere in esilio in Francia ed evitare l’estradizione – e all’omicidio di Marco Biagi a Bologna, che qui si chiama professor Martini e viene assassinato direttamente sullo scalone dell’università dove insegna. Zambrano prende questi due eventi e ne realizza una storia immaginaria incentrata su Marco Lamberti (Giuseppe Battiston), membro di una fantomatica Formazione Armata Rivoluzionaria, fuggito in Francia nel 1981 dopo aver assassinato un giudice; e di sua sorella Anna (Barbora Bobulova), moglie di un avvocato di Bologna che difende perfino le vittime dell’amianto e che viene ricontattata con veemenza da stampa e inquirenti perché i nuovi terroristi si rifanno alla Formazione Armata Rivoluzionaria a cui prese parte il fratello.

Temendo di venire estradato in Italia, ora che la dottrina di Mitterand si è conclusa, Lamberti fugge da Parigi con la figlia Viola e prima di tentare l’espatrio in  Nicaragua raggiunge una casa in campagna, quindici anni prima nascondiglio sicuro per i brigatisti fuggiaschi. Intanto su Anna ricade l’astio dell’opinione pubblica che la costringe perfino a dimettersi dal suo lavoro d’insegnante delle superiori. Le due storie proseguono fianco a fianco, con il bordone francese più invadente dell’altro italiano, anche perché Viola essendo giovanissima non riesce ad elaborare appieno i sentimenti che prova verso il padre. La Zambrano grazie a questa irriducibile asimmetria emotiva si concentra sul complesso rapporto tra i due quasi fosse il perno di un racconto giocato sulle mute interiorità dei protagonisti e su un’atmosfera cupa  e sofferente di giustizia sociale e politica. “Un colpevole è sempre colpevole, ma il nostro Paese non ha mai voluto risolvere la questione e queste persone, da parte loro, non hanno mai affrontato veramente le proprie responsabilità”, ha spiegato la Zambrano a Cineuropa durante l’ultima Cannes dove Dopo la Guerra era al Certain Regard. “Il film certamente non vuole dare risposte giuridiche, ma è piuttosto una riflessione sulla colpa, umana e politica. Su chi non vuole prendere una decisione. La ragion di Stato di fronte alla ragione umana. La colpa che ricade su chi resta è una costante non solo della cultura classica, vedi Antigone, ma anche di quella cattolica, e permea molti italiani, me compresa”.

 

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