L’ex presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva ha ignorato il termine fissato per consegnarsi alla polizia e iniziare a scontare la sua condanna a 12 anni di carcere per corruzione. Lula si sarebbe dovuto consegnare entro le 17 brasilane (le 22 italiane) ma è rimasto nella sede del sindacato dei lavoratori del metallo nella sua città natale, Sao Bernardo do Campo, circondato da una folla di sostenitori scesi in strada. Gli avvocati dell’ex presidente stanno negoziando con la polizia federale i termini in cui l’ex presidente brasiliano si consegnerà alle autorità, come hanno raccontato due senatori, Humberto Costa, capogruppo nella camera alta del Partito dei Lavoratori di Lula e Joao Capiberibe, del Partito Socialista Brasiliano, parlando con i cronisti dopo essere usciti dalla sede del sindacato dove Lula è riunito da ore con i suoi legali. Tra l’altro oggi un ultimo ricorso per una sospensione della pena è stato respinto.
La presidente del Partito dei lavoratori, Gleisi Hoffman, ha spiegato che Lula resterà nella struttura del sindacato, ma questo non significa che non intende rispettare l’ordine di carcerazione. Un messaggio che la Hoffman ha ribadito anche alla folla riunita davanti all’edificio in cui si trova ormai da oltre 24 ore l’ex presidente. Hoffmann aggiunge che Lula “aveva la possibilità di andare a Curitiba, ma ha scelto di rimanere qui, in un luogo pubblico, e tutti sanno che è qui, il mondo intero sa che è qui. E qui rimarrà”. Poco prima di parlare alla folla, la presidente del Pt ha annunciato su Twitter che siccome la seconda moglie di Lula – Marisa Leticia, morta nel febbraio dell’anno scorso – domani avrebbe compiuto 67 anni, “alle 9.30 celebreremo una messa in suo onore nel sindacato metallurgico, con Lula e la sua famiglia”.
La decisione di Lula non consegnarsi era già stata annunciata in giornata dall’ex addetto stampa dell’ex capo di Stato, Ricardo Kotscho. Il leader del Partito dei lavoratori, condannato a 12 anni per corruzione passiva e riciclaggio, si era appellato al Tribunale supremo federale del Brasile per fare richiesta di habeas corpus, cioè di sospensione della pena fino alla conclusione di tutti i gradi di giudizio. Mercoledì è arrivata la risposta dei giudici, negativa, per sei voti contro cinque. Subito dopo è scattato il mandato di arresto: il giudice Moro ha concesso a Lula 24 ore per presentarsi volontariamente alla polizia federale di Curitiba, nel sud est del paese. Inizialmente uno dei suoi avvocati, José Roberto Batochio, aveva fatto sapere che Lula si sarebbe consegnato senza “alcun dubbio”, perché “ha sempre rispettato il potere giudiziario e la legge”. Poi il cambio di scenario.
Solidali con l’ex presidente brasiliano molti leader della sinistra sudamericana. “Non solo il Brasile, è il mondo intero che ti abbraccia”, ha scritto su Twitter il presidente del Venezuela Nicolas Maduro, denunciando che “la destra, incapace di vincere democraticamente, ha scelto la via giudiziaria per disciplinare le forze popolari”. Dello stesso avviso il boliviano Evo Morales: “All’oligarchia non interessa né la democrazia né la giustizia: la vera ragione per la quale si condanna il fratello Lula è per impedire che torni ad essere il presidente del Brasile. La destra non gli perdonerà mai di aver tolto dalla miseria a 30 milioni di poveri”. Manifestazioni di solidarietà sono arrivate anche da Raul Castro e da ex capi di Stato latinoamericani, come l’argentina Cristina Fernandez de Kirchner, il cileno Ricardo Lagos, l’uruguayano José Mujica e l’ecuadoriano Rafael Correa.
Per la presidente del Partito dei lavoratori, Gleisi Hoffmann, Moro è “un giudice armato di odio e rancore, senza prove e in un processo senza delitti, ha emesso un mandato di cattura contro Lula prima ancora che si siano esauriti i tempi per i ricorsi, con una carcerazione politica, che ci riporta ai tempi della dittatura”.
Mondo
Brasile, Lula non si consegna alla polizia: è chiuso nella sede di un sindacato. Folla di manifestanti gli fa da scudo
L'ex presidente condannato a 12 anni per corruzione non si costituisce. I legali stanno trattando le condizioni dell'arresto. Intanto arrivano messaggi di sostegno da tutti i leader della sinistra latino-americana: Castro, Maduro, Morales, Kirchner
L’ex presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva ha ignorato il termine fissato per consegnarsi alla polizia e iniziare a scontare la sua condanna a 12 anni di carcere per corruzione. Lula si sarebbe dovuto consegnare entro le 17 brasilane (le 22 italiane) ma è rimasto nella sede del sindacato dei lavoratori del metallo nella sua città natale, Sao Bernardo do Campo, circondato da una folla di sostenitori scesi in strada. Gli avvocati dell’ex presidente stanno negoziando con la polizia federale i termini in cui l’ex presidente brasiliano si consegnerà alle autorità, come hanno raccontato due senatori, Humberto Costa, capogruppo nella camera alta del Partito dei Lavoratori di Lula e Joao Capiberibe, del Partito Socialista Brasiliano, parlando con i cronisti dopo essere usciti dalla sede del sindacato dove Lula è riunito da ore con i suoi legali. Tra l’altro oggi un ultimo ricorso per una sospensione della pena è stato respinto.
La presidente del Partito dei lavoratori, Gleisi Hoffman, ha spiegato che Lula resterà nella struttura del sindacato, ma questo non significa che non intende rispettare l’ordine di carcerazione. Un messaggio che la Hoffman ha ribadito anche alla folla riunita davanti all’edificio in cui si trova ormai da oltre 24 ore l’ex presidente. Hoffmann aggiunge che Lula “aveva la possibilità di andare a Curitiba, ma ha scelto di rimanere qui, in un luogo pubblico, e tutti sanno che è qui, il mondo intero sa che è qui. E qui rimarrà”. Poco prima di parlare alla folla, la presidente del Pt ha annunciato su Twitter che siccome la seconda moglie di Lula – Marisa Leticia, morta nel febbraio dell’anno scorso – domani avrebbe compiuto 67 anni, “alle 9.30 celebreremo una messa in suo onore nel sindacato metallurgico, con Lula e la sua famiglia”.
La decisione di Lula non consegnarsi era già stata annunciata in giornata dall’ex addetto stampa dell’ex capo di Stato, Ricardo Kotscho. Il leader del Partito dei lavoratori, condannato a 12 anni per corruzione passiva e riciclaggio, si era appellato al Tribunale supremo federale del Brasile per fare richiesta di habeas corpus, cioè di sospensione della pena fino alla conclusione di tutti i gradi di giudizio. Mercoledì è arrivata la risposta dei giudici, negativa, per sei voti contro cinque. Subito dopo è scattato il mandato di arresto: il giudice Moro ha concesso a Lula 24 ore per presentarsi volontariamente alla polizia federale di Curitiba, nel sud est del paese. Inizialmente uno dei suoi avvocati, José Roberto Batochio, aveva fatto sapere che Lula si sarebbe consegnato senza “alcun dubbio”, perché “ha sempre rispettato il potere giudiziario e la legge”. Poi il cambio di scenario.
Solidali con l’ex presidente brasiliano molti leader della sinistra sudamericana. “Non solo il Brasile, è il mondo intero che ti abbraccia”, ha scritto su Twitter il presidente del Venezuela Nicolas Maduro, denunciando che “la destra, incapace di vincere democraticamente, ha scelto la via giudiziaria per disciplinare le forze popolari”. Dello stesso avviso il boliviano Evo Morales: “All’oligarchia non interessa né la democrazia né la giustizia: la vera ragione per la quale si condanna il fratello Lula è per impedire che torni ad essere il presidente del Brasile. La destra non gli perdonerà mai di aver tolto dalla miseria a 30 milioni di poveri”. Manifestazioni di solidarietà sono arrivate anche da Raul Castro e da ex capi di Stato latinoamericani, come l’argentina Cristina Fernandez de Kirchner, il cileno Ricardo Lagos, l’uruguayano José Mujica e l’ecuadoriano Rafael Correa.
Per la presidente del Partito dei lavoratori, Gleisi Hoffmann, Moro è “un giudice armato di odio e rancore, senza prove e in un processo senza delitti, ha emesso un mandato di cattura contro Lula prima ancora che si siano esauriti i tempi per i ricorsi, con una carcerazione politica, che ci riporta ai tempi della dittatura”.
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Cronaca
Truffe a nome di Crosetto, c’è chi ha versato 1 milione di euro. Come funzionava: i militari catturati e l’Ai
Milano, 3 feb. (Adnkronos) - La Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) ha dichiarato all'unanimità "irricevibile" il ricorso presentato dalla difesa di Alberto Stasi condannato, nel 2015, in via definitiva a 16 anni di carcere per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi uccisa il 13 agosto 2007 a Garlasco (Pavia). Stasi reclamava "una violazione del suo diritto a un processo equo, per quanto riguarda il principio della parità delle armi" lamentando che nel processo d'appello bis non sarebbe stato ascoltato un testimone "decisivo" a dire della difesa.
Per la corte, invece, la condanna si basa "su vari elementi di prova" e le dichiarazioni del teste agli inquirenti "lungi dall'essere decisive per determinare la responsabilità penale dell’interessato, sono semplicemente servite a corroborare tutte le prove a carico" si legge nella sentenza. In tal senso, l'ultima decisione della corte d'Assise d'Appello di non sentire nuovamente il testimone "non ha compromesso l'equità del procedimento penale a carico del ricorrente. Pertanto, il ricorso deve essere respinto in quanto manifestamente infondato".
La decisione potrebbe così mettere la parola fine a uno dei casi giudiziari più lunghi degli ultimi anni, mentre Stasi, oggi quarantenne, già da tempo beneficia del lavoro esterno fuori dal carcere di Bollate.
Milano, 6 feb. (Adnkronos) - Quasi un milione di euro. E' questa la cifra che un imprenditore ha versato non rendendosi conto di essere vittima di un raggiro fatto via telefono usando il nome del ministro della Difesa Guido Crosetto. L'uomo che ha denunciato l'accaduto allo stesso Crosetto (suo amico), si è poi rivolto ai carabinieri e alla procura che sta provando a bloccare il bonifico. Almeno due gli imprenditori vittime, solo una per ora la denuncia milionaria presente nel fascicolo, ma il numero delle potenziali vittime è di almeno cinque e sembra destinato a salire.
Roma, 6 feb. (Adnkronos) - 'Chi l’ha vista?'. Il Pd su Instagram prende titolo e logo della trasmissione di Rai 3 e postando la foto di Giorgia Meloni torna a chiedere alla premier di riferire in aula sul caso Almasri. "E' Giorgia Meloni a dover rispondere della vicenda Almasri al Parlamento e al Paese. Basta nascondersi".
Milano, 6 feb. (Adnkronos) - "Ci sono dei soldati prigionieri da liberare pagando un riscatto". E' questa la scusa che, in un caso, è stata utilizzata da chi, fingendosi il ministro della Difesa Guido Crosetto, ha raggirato due imprenditori, i quali hanno denunciato i fatti ai carabinieri e in procura a Milano. Altri tre imprenditori benestanti sono stati contattati dai truffatori che, complice anche l'intelligenza artificiale per camuffare le voci - del ministro, di un sedicente funzionario della Difesa o di un generale - hanno provato via telefono a ottenere ingenti bonifici. Sugli episodi indaga il pm Giovanni Tarzia.
Milano, 6 feb. (Adnkronos) - Si fingevano il ministro Guido Crosetto, oppure un generale o un sedicente funzionario del ministero della Difesa e provavano a truffare ingenti somme a degli imprenditori, cinque quelli a conoscenza dello stesso esponente di Fratelli d'Italia che ha denunciato la truffa. Due le vittime accertate, almeno tre gli altri professionisti che stavano cadendo nella rete di truffatori su cui indaga la procura di Milano guidata da Marcello Viola.
Roma, 6 feb. (Adnkronos) - "Ieri ancora una volta il governo è venuto in Parlamento e non ha detto la verità, non ha avuto il coraggio di assumersi le responsabilità delle sue scelte, si è contraddetto. Noi vogliamo sapere se per tutelare l’interesse nazionale il governo si affida anzi coopera o meglio è complice di una banda di tagliagole, di assassini, di stupratori. Io penso che questo non sia accettabile, che c’è un limite anche a quello che si definisce interesse nazionale. Mi pare del tutto normale che le opposizioni abbiano, in modo molto deciso, sottolineato le incongruenze e siano intenzionate a chiedere che ci siano risposte di verità". Lo afferma Nicola Fratoianni di Avs parlando con i cronisti davanti a Montecitorio.
"Perché è inaccettabile che alla fine - aggiunge il leader di SI - la politica si infili in una discussione surreale sui cavilli e di cui diventa vittima la realtà, e quei corpi violati da aguzzini senza scrupoli, come si può vedere anche oggi in un nuovo e terribile video diffuso da Repubblica con un uomo legato al parafango e trascinato da un mezzo di quella polizia giudiziaria libica di cui è a capo Almasri gentilmente rilasciato da Nordio e Piantedosi".
"Così come è inaccettabile l’attacco devastante del governo alla Corte Penale Internazionale: ma come si fa a non vedere che ci troviamo in un mondo in guerra nel quale senza questi organismi, anzi senza il loro rafforzamento, senza ricostruire attorno a quegli organi una sorta di sacralità, l’unico elemento che resta in campo è la legge del più forte, della violenza, della violazione sistematica dei diritti? Questo governo - conclude Fratoianni - sta creando un disastro colossale, i cui costi saranno pagati dal nostro Paese".
Roma, 6 feb. (Adnkronos) - “Il Governo ha condotto l’Italia al centro di uno scandalo internazionale, impedendo che il criminale libico venisse assicurato alla giustizia. Nordio e Piantedosi ieri si sono smentiti, Meloni è sparita. Ma non può continuare a scappare. Al di là di ogni aspetto giudiziario, deve risponderne sul piano politico, davanti al Parlamento e al Paese”. Così il democratico, Peppe Provenzano.