IL GIOVANE KARL MARX di Raoul Peck, con August Diehl, Stefan Konarske Vicky Krieps. Francia/Germania/Belgio 2017. Durata: 118’. Voto 3,5/5 (AMP)
“Parlare al grande pubblico senza distorcere la realtà storica”. Raoul Peck su Karl Marx, versione giovanile. Lo statement ambizioso precursore di un progetto filologico profondo e imponente. La bella notizia è che il grande regista haitiano è riuscito nell’impresa. Ed è bello lasciare ancora a lui la parola quale gesto d’adesione nel giudizio al film: “Questo racconto della giovinezza di Marx non è romanzato, nel tipico senso cinematografico del termine. Siamo voluti rimanere il più vicino possibile al racconto vivo e reale di questi tre personaggi unici e inusuali, il più vicino possibile allo “Zeitgeist” di quell’epoca”. Difficilmente, comunque, si poteva restare delusi da un’opera preparata nella cura di sei anni di studi, summa di una vita dedicata all’approfondimento filosofico e politico quale quella di Peck, fra i più colti e cosmopoliti cineasti contemporanei. Ma il regista di I Am Not Your Negro – curiosamente in doppietta berlinese lo scorso anno con il presente titolo – non mette rispetto a Marx solo la propria cultura (e intelligenza) bensì ci mette la faccia (nera) e la nascita (haitiana) di chi è ontologicamente un disagiato ma ha avuto la fortuna di poter studiare. Perché tutto dipende da quello, e un uomo della statura (anche) politica di Peck non può scordarselo. L’ex ministro della cultura di Haiti ma anche direttore della prestigiosa Femìs di Parigi fa dialogare Storia e racconto cinematografico sottotraccia, evitando velleità linguistiche ma attendendosi a una chiarezza che talvolta può accusarsi didascalica, unica pecca riscontrata di tanto in tanto nello scorrere del lungometraggio. Il suo obiettivo – oltre allo statement proposto all’inizio – è quello di recuperare le motivazioni profonde che stavano ab origine della formulazione del Manifesto del Partito Comunista di cui quest’anno si celebrano i 170 anni. Al centro, dunque, non possono che essere gli anni giovanili di Marx (con la moglie Jenny) ed Engels, e la capacità di questi straordinari pensatori di rivoluzionare il mondo da poco più che ventenni. Nessun filtro se non quello – appunto – della narrazione agevole per spettatori transgenerazionali e transculturali, e il pregio di fonti primarie come i copiosi epistolari fra Marx ed Engels fra il 1843 e il 1850. Lo Zeitgeist regna incorrotto e si esce dalla sala con qualche certezza in più.