Il boss, 58 anni, ritenuto capo strategico della “Provincia” ed erede del mammasantissima defunto alcuni anni fa, si era nascosto in un’abitazione di Condofuri, in una zona impervia dell’entroterra. Era latitante dal 2016: ora deve scontare una pena residua definitiva di 2 anni e 5 mesi di carcere per associazione mafiosa e tentata estorsione
“Mi arrendo, non sono armato”. Si conclude così la latitanza del boss Giuseppe Pelle. Su un divano dove dormiva vestito per poter scappare in qualsiasi momento. Era ricercato dal 2016 ed è stato catturato stanotte il boss di San Luca, 58 anni e figlio del patriarca della ‘ndrangheta ‘Ntoni Pelle. La squadra mobile di Reggio Calabria e gli uomini del Servizio centrale operativo della polizia di Stato, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia, lo hanno scovato a Condofuri.
Il boss, ritenuto capo strategico della “Provincia” ed erede del mammasantissima defunto alcuni anni fa, si era nascosto in un’abitazione in una zona impervia dell’entroterra, pressoché irraggiungibile in quanto priva di strade e a ridosso di una fiumara che attraversa l’Aspromonte rendendone difficoltoso l’accesso. Con lui sono stati fermati anche due o tre favoreggiatori che adesso la Procura dovrà decidere se arrestare o denunciare a piede libero.
Esponente di primo piano della famiglia conosciuta con il soprannome dei Gambazza, Giuseppe Pelle è legato anche ai Barbaro di Platì, detti “Castanu”. Il latitante, infatti, ha sposato la figlia del boss ergastolano Francesco Barbaro. Al momento del blitz, il latitante stava dormendo, era disarmato e non ha opposto alcuna resistenza. Adesso deve scontare una pena residua definitiva di 2 anni e 5 mesi di carcere per associazione mafiosa e tentata estorsione.
A luglio, mentre era alla macchia, la Dda ha chiesto e ottenuto dal giudice per le indagini preliminari un’altra ordinanza di custodia cautelare nell’ambito dell’inchiesta “Mandamento Jonico” in cui è indagato per tentata estorsione e illecita concorrenza. In sostanza, avvalendosi del metodo mafioso, Giuseppe Pelle ha tentato di accaparrarsi i proventi derivanti dall’esecuzione di lavori pubblici in alcuni comuni della Locride tra i quali Siderno, Palizzi, Condofuri e Natile di Careri.
Qualche anno fa il nome di Peppe Pelle era salito agli onori della cronaca nell’ambito dell’inchiesta “Reale” che ha dimostrato come la ‘ndrangheta ha influenzato la campagna elettorale per le Regionali del 2010. Con la morte del padre nel 2009, infatti, il boss arrestato stanotte aveva ereditato il ruolo di “Gambazza”. Grazie a quella che molti inquirenti hanno definito l’intercettazione più importante della storia della lotta alla ‘ndrangheta, infatti, la Dda di Reggio Calabria ha dimostrato come a Bovalino l’abitazione di Giuseppe Pelle era diventata una sorta di luogo di pellegrinaggio per mafiosi, spioni legati ai servizi (come il commercialista Giovanni Zumbo) e per i candidati alle elezioni regionali del 2010. Tra questi, secondo gli investigatori, c’era il consigliere regionale Santi Zappalà (ex Forza Italia), arrestato e condannato per aver chiesto voti alla cosca di San Luca. Ma anche l’ex senatore di Gal Antonio Caridi poi eletto e nominato assessore regionale della giunta guidata da Giuseppe Scopelliti.
“Questo lo dovete avvicinare – era un’intercettazione registrata a casa del boss Giuseppe Pelle – perché questo è un … un assessorato importante per le banche e per tutto! … omissis … l’attività produttiva viene qua a Reggio. A coso … Caridi … Questo qua dovete avvicinare …”.
“Le indagini sono durate due anni – ha spiegato il capo della Mobile Francesco Rattà che ha condotto l’operazione con il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e del sostituto procuratore Francesco Tedesco – sono state articolate e complesse. Per 24 mesi siamo stati un po’ in apnea. Il blitz lo abbiamo curato nei minimi dettagli con una cinquantina di poliziotti. Siamo riusciti ad arrivare in una zona impervia, in una casa nascosta tra la vegetazione abitata da pastori”.
“In questi 3 anni sono stati assicurati alla giustizia 13 latitanti – ha affermato durante la conferenza stampa il questore Raffaele Grassi – è una guerra di liberazione. Stiamo liberando il territorio. Tredici latitanti catturati sono l’evidente dimostrazione della superiorità dello Stato sulla ‘ndrangheta”.
Gli fa eco il procuratore vicario Gaetano Paci secondo cui “con la cattura di Pelle si chiude l’era delle grandi latitanze. Il personaggio catturato questa notte rappresenta a tutto tondo ciò che la ndrangheta costituisce nel mondo”. Il magistrato cita la Cassazione che descrive così il boss latitante nella sentenza che ha dichiarato la definitività della sua condanna: “È un soggetto appartenente al vertice decisionale e strategico non di una porzione circoscritta e territorialmente delimitata della ‘ndrangheta, ma della ‘ndrangheta unitaria”.
“Questo – spiega sempre il procuratore Paci – ci da l’idea di cosa è avvenuto stanotte. Pelle era un soggetto in piena attività e lo dimostra l’inchiesta ‘Mandamento ionico’. La sua famiglia per anni ha intessuto rapporti sociali e istituzionali anche con soggetti che avevano un ruolo all’interno delle istituzioni di questa città, di questa regione, del Paese. Oggi la cattura di Pelle rappresenta il dominio della forza dello Stato e del controllo di legalità anche su quella parte delle manifestazioni della ‘ndrangheta più subdole e meno visibili. Un risultato del genere quando i Pelle erano in grado di svolgere un ruolo determinante anche in determinati apparati dello Stato non sarebbe stato possibile”.