Ci vorrebbero 100 milioni di euro l’anno (circa 1 miliardo in dieci anni) per mettere in sicurezza la Capitale d’Italia dal rischio idrogeologico. Tutto ciò, per garantire l’incolumità dei circa 500mila romani che vivono sia in aree a rischio alluvione – a causa delle sempre più frequenti piene del Tevere – sia nei quartieri del quadrante sud-est dove si registrano la maggior parte delle 90 voragini che si aprono ogni anno nelle strade, nei parchi e nei cortili di Roma. L’Autorità di distretto idrografico dell’Italia Centrale – che ha inglobato l’Autorità di Bacino del Tevere – ha messo insieme le sempre più presenti emergenze meteoriche e territoriali relative al perimetro della Città Eterna, tracciando il Primo rapporto sul rischio alluvioni, frane, cavità del sottosuolo e acque sotterranee. E quello che ne è uscito è una situazione allarmante su cui nei prossimi anni le istituzioni locali e nazionali dovranno porre molta attenzione.
IL PERICOLO VIENE DAL TEVERE – L’osservato speciale è il Fiume Tevere. La costruzione dei muraglioni in Centro Storico, conclusa nel 1926, e la realizzazione delle 5 dighe idroelettriche negli anni ’50-’60 sono da tempo insufficienti. “I problemi – si legge nel rapporto – sono molto gravi come hanno dimostrato le piene del 2008, 2012 e 2014, con zone sott’acqua. Le cartografie aggiornate mostrano fragilità mai strutturalmente affrontate”.
Il rischio oggi riguarda un territorio urbano di 1.135 ettari dove vivono e lavorano circa 250.000 persone, è la più elevata esposizione d’Europa. “Roma ha zone che non reggono nemmeno un acquazzone – prosegue ancora la brochure preparata dall’Authority – come abbiamo visto il 10 settembre e il 5 novembre scorsi, piste di Fiumicino comprese. Inutile stupirsi quando il sistema fognario sia in parte non in perfetta efficienza, manca la corretta e continua manutenzione dei tombini e sono inefficienti e in gran parte scomparse per sversamento di rifiuti e vegetazione spontanea circa 700 km di indispensabili vie d’acqua tributarie del Tevere e dell’Aniene: canali, fossi, sistemi di scolo”.
Molto è da imputarsi ai numerosi relitti che occupano i fondali del ‘Biondo’. Ad essere affondate sono imbarcazioni di tutti i tipi, dalle più piccole dedicate ad attività di canottaggio a chiatte di diversi metri che ospitavano a bordo ristoranti e locali di intrattenimento, almeno 22 di grandi dimensioni secondo la Capitaneria di porto di Roma. Le aree a rischio riguardano in primis la zona di Castel Giubileo – a nord della città – il comune di Fiumicino (Foce del Tevere) quelle limitrofe ai letti dei due fiumi principali e dei 12 fossi e mini-affluenti.
LE FRANE, LE FUNGAIE E IL RISCHIO VORAGINI – L’Ispra, Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ha invece contribuito al rapporto facendo il punto sull’altra tangibile emergenza capitolina: quella delle voragini, fenomeno totalmente diverso dalle classiche buche nell’asfalto. La causa principale della loro formazione è la presenza di numerose cavità sotterranee scavate nel corso degli ultimi secoli principalmente per l’estrazione dei materiali da costruzione, le cosiddette “fungaie”, circa 32 km, per lo più concentrati nella porzione orientale della città.
Il problema è che negli ultimi 8 anni si è assistito ad un grande incremento delle voragini: da una media di 16 l’anno (dal 1998 al 2008) si è passati a più di 90; il massimo di 104 è stato registrato nel 2013 e al 31 marzo del 2018 sono state registrati 44 eventi (a questo ritmo si raggiungerebbe quota 176). Finora l’apertura delle voragini non ha determinato rischi per le persone o inagibilità di edifici residenziali, a parte un episodio accaduto nell’aprile 2016 nel quartiere di Centocelle. I più colpiti sono i quartieri Tuscolano, Prenestino, Tiburtino, ma anche zone più centrali come Aventino, Palatino e Esquilino. Bisogna poi aggiungere il pericolo frane, con 28 quartieri a rischio e ben 383 siti “soggetti a fenomeni franosi”.
IL PIANO E IL PROBLEMA DEI FONDI – Come intervenire? Per il complesso degli interventi è stato calcolato un fabbisogno di risorse finanziarie pari a 871 milioni per 155 interventi di varia tipologia: 783 milioni per 127 opere di contrasto al rischio alluvione e 86 milioni per 28 opere per mettere in sicurezza diverse aree cittadine dal pericolo frane. A questo valore vanno aggiunti almeno 15 milioni l’anno per gestire la manutenzione ordinaria e tenere in efficienza vie d’acqua come canali e fossi interni all’area urbana oggi in stato di grave degrado o addirittura ‘tombati’ da vegetazione spontanea e rifiuti, e 4 milioni l’anno per verifiche e interventi preventivi sulle voragini urbane”.
Complessivamente la cifra da stanziare è di 1 miliardo e 40 milioni. “Il Piano Roma Sicura – spiega Erasmo D’Angelis, segretario generale dell’Autorità di distretto idrografico dell’Italia centrale – è alla portata di un Paese come l’Italia e i primi 114 milioni sono già disponibili dal programma Italiasicura. Sul Tevere a fine maggio negli ‘Stati Generali del Tevere’ presenteremo il grande progetto di sicurezza e qualità dalla sorgente alla foce”.
Dove reperire il resto dei soldi? “L’ufficio condono capitolino – evidenzia Sandro Simoncini, presidente di Sogeea – deve smaltire ancora poco meno di 200.000 richieste di sanatoria edilizia: ciò vuol dire un potenziale incasso stimabile in circa 800 milioni di euro tra oneri concessori, oblazioni, diritti di segreteria e di istruttoria, sanzioni per danno ambientale”.