La lista di libri proibiti nella Cina continentale si arricchisce di un nuovo insolito titolo: la Bibbia. Questo è quanto sembrerebbero suggerire gli sviluppi degli ultimi giorni in barba alle negoziazioni in corso tra Pechino e il Vaticano per una storica normalizzazione dei rapporti tra il paese ateo più popoloso al mondo e la Santa Sede. Ma la questione è ben più complessa.
Secondo quanto riportato da alcune fonti a Quartz e a Inkstone, il nuovo portale del South China Morning Post, le sacre scritture risultano irreperibili sui principali siti di e-commerce cinese, da JD.com a Taobao, passando per Amazon.cn e Dang Dang. Mentre digitando la parola “Bibbia” sul primo non compare alcun risultato, sugli altri tre sono ancora disponibili compendi e storie illustrate. Tutto sarebbe cominciato il 30 marzo, racconta un insider dell’editoria cinese, aggiungendo che “alcuni negozi su Taobao sono stati chiusi definitivamente”. Screenshot apparsi sul Twitter “in salsa di soia” Weibo confermano l’ordine diramato dall’e-Bay cinese ai rivenditori online di rimuovere dagli scaffali il Vecchio Testamento, senza spiegazione alcuna. Questo mentre lunedì una direttiva non necessariamente legata alla sparizione delle Bibbie, aveva richiesto a JD di rimuovere tutti i testi “illegali” dalla propria piattaforma online.
Il giro di vite non arriva del tutto inatteso. Da tempo le librerie cristiane sono oggetto di ispezioni da parte dei funzionari del ministero della Cultura. Proprio martedì scorso, con una delle abituali visite era giunto il divieto categorico di vendita per quanto riguarda i cosiddetti “libri stranieri”. Una misura che tuttavia risparmia altri fedi osservate oltre la Muraglia: il Corano è ancora facilmente acquistabile anche in rete, tranne che su JD.com, nonostante la crescente circospezione dimostrata per la comunità musulmana cinese, associata alla radicalizzazione che negli ultimi anni ha investito alcune aree occidentali del paese.
Come fanno notare gli addetti ai lavori l’inasprimento dei controlli sulla diffusione della Bibbia costituisce, in realtà, il tentativo di normare un mercato grigio suscettibile a facili violazioni. Le Sacre Scritture rientrano infatti nella categoria delle pubblicazioni destinate alla “distribuzione interna”. Questo vuol dire che, almeno sulla carta, solo gli organi governativi incaricati di supervisionare la Chiesa cristiana cinese sono legittimati a vendere i testi religiosi. In sostanza le due autorità legate al controllo del culto protestante: il Consiglio cristiano cinese e il Comitato nazionale del Movimento patriottico delle tre autonomie.
“In passato il divieto non è stato fatto rispettare in maniera rigida”, spiega a Inkstone Ying Fuk-tsang, direttore della Divinity School Divinity School of Chung Chi College presso la Chinese University di Hong Kong. Stando all’esperto, l’improvvisa scrupolosità va letta alla luce di una nuova tattica che vede l’utilizzo del web come principale strumento per regolare la diffusione delle religioni su internet. “Dobbiamo attribuire grande importanza al problema della religione su internet. Dobbiamo promuovere le teorie e le politiche religiose del Partito su Internet”, aveva dichiarato il presidente Xi Jinping lo scorso 16 aprile durante un vertice sul tema.
La guerra contro le Bibbie clandestine arriva a pochi giorni dalla pubblicazione per la prima volta in vent’anni del libro bianco sulla libertà religiosa, diritto citato nella Costituzione cinese ma violato costantemente. Il documento rivela tra gli altri una crescita esponenziale del numero dei credenti: 200 milioni, circa il doppio rispetto al precedente report del 1997. Di questi 38 milioni seguono la Chiesa protestante, contro gli appena 6 milioni di cattolici.
A dimostrare la diffidenza nutrita per le religioni “d’importazione” il libro bianco ricorda come in passato il cristianesimo sia stato “controllato e utilizzato dai colonialisti e dagli imperialisti“. Ma ancora più sorprendente è il riferimento alla produzione di testi sacri. Ironia della sorte, la Cina è il primo paese al mondo per numero di Bibbie stampate. Secondo il rapporto, sono ben 160 milioni le copie Made in China distribuite in oltre 100 nazioni. Ben circa la metà sono scritte in lingua cinese. Qualcuno dovrà pur leggerle.
China Files per il Fatto