Nel mirino della Guardia di Finanza un faccendiere anglo-svizzero e una società italiana: hanno messo a punto tecnologie collaudate durante il Gp di Formula 1 di Abu Dhabi del 26 novembre e che aveva attirato anche l’attenzione di emissari di altri paesi, fra cui quelli dell’esercito degli Stati Uniti. Il tutto senza che il Ministero degli Esteri fosse stato informato
Un faccendiere anglo-svizzero e una società italiana che costruiscono droni da guerra su commissione di un colonnello degli Emirati Arabi. Una tecnologia testata in Spagna grazie alla mediazione di un “fattorino” algerino, collaudata dall’esercito arabo durante il Gran Premio di Formula 1 svoltosi ad Abu Dhabi il 26 novembre scorso e che aveva attirato anche l’attenzione di emissari di altri paesi, fra cui quelli dell’esercito degli Stati Uniti. Il tutto, in maniera clandestina, ovvero senza che il Ministero degli Esteri italiano fosse stato minimamente informato, sebbene il laboratorio fosse situato nel comune di Pomezia, vicino Roma, a pochi chilometri dalla base militare di Pratica di Mare.
IL SISTEMA PER DIFENDERE L’AEROPORTO DI DHAFRA – Ha tutti i contorni dell’intrigo internazionale la vicenda che ha portato la Guardia di Finanza, su disposizione del Tribunale di Velletri, ad arrestare Patrick Eugster, committente svizzero del “drone-ranger”, un sistema di difesa antidrone che sarebbe dovuto servire agli Emirati Arabi Uniti per proteggere l’aeroporto di Dhafra, ad Abu Dhabi, e gli spazi adiacenti alla centrale nucleare di Barakah; con lui in manette è finito anche uno dei suoi sodali italiani, Riccardo Mereghello, mentre risultano soltanto indagati i titolari della Elektronx Srl di Pomezia, Remo Aloisi e Paolo Izzi (oltre al dipendente Andrea Izzi), che insieme a Eugster avevano fondato la società “di scopo” Scg Srl, ai quali si aggiunge il collaudatore Roberto Borzi.
Coinvolto ma non indagato, invece, l’imprenditore romano Paolo Caramis – padre della showgirl Ludovica e suocero del calciatore del Bologna, Mattia Destro – titolare della Gp Energie Srl che gestisce la centrale a biomasse di Genzano di Roma, il quale stava aiutando Mereghello nella ricerca di finanziatori del progetto. Ironia della sorte, a scoperchiare il vaso di pandora la collaborazione con la Guardia di Finanza di un altro commerciante di armi, Andrea Pardi, accusato lo scorso anno di aver venduto elicotteri da guerra in Libia e in Iran () e noto alle cronache per i suoi legami anche politici.
LO SVIZZERO E IL PRIMO TEST AL GP DI ABU DHABI – L’uomo chiave di tutta la vicenda è Eugster. E’ lui a contattare inizialmente Pardi e a mostrargli una brochure con il prodotto venduto agli Emirati Arabi. Lo svizzero tiene i contatti con quello che le carte della Procura velletrana indicano come il “Colonnello Ali”, alto esponente dell’esercito di Abu Dhabi che gli mette pressione affinché il prodotto venga ultimato il prima possibile per testarlo. Eugster ha bisogno di finanziamenti e, dopo aver fallito l’emissione di un “performance bond” (una garanzia bancaria) con le banche svizzere, chiede l’intervento dei suoi sodali romani.
Qui entrano in gioco Merenghello e i fratelli Izzi, che si offrono di aiutare lo svizzero e di costruire materialmente il drone-ranger in cambio del 3% del pagamento promesso dagli Emirati, circa 13 milioni di euro. Una prima tranche – 350.000 euro – è arrivata nel novembre scorso, poco prima dei test effettuati durante il Gp di Formula 1: subito dopo il bonifico, il drone fu spedito a Ginevra con un furgone, per poi essere inviato ad Abu Dhabi con un volo diretto. Un test in realtà c’era già stato a ottobre, grazie a un altro contatto di Eugster, l’algerino Ab Naber, che aveva portato il drone a Madrid arrivando in Spagna via nave, così da eludere i serrati controlli presso gli aeroporti.
LE TRATTATIVE DAL QATAR AGLI STATI UNITI – I contatti, come detto, non sono avvenuti solo con gli Emirati Arabi. Lo svizzero tesseva comunicazioni importanti con vari paesi, mediorientali e non, e aveva già portato a termine una serie di progetti piuttosto remunerativi. Nelle carte del gip si racconta, ad esempio, della trattativa con un colonnello della Qatar Arm Force, tale Abdullah, incontro avvenuto a Madrid ad ottobre 2017; il mese successivo, invece, sarebbe andata a buon fine la vendita di un fucile antidrone ai militari del Libano, consegna avvenuta attraverso un altro emissario italiano.
Il drone-ranger, poi, aveva attirato l’attenzione anche dalla Us Air Force, l’aviazione degli Stati Uniti d’America, a cui Eugster aveva mostrato un prototipo nel 2016. Lo svizzero aveva un contatto con tale Fritz, un emissario di una società mandataria del governo americano che aveva assicurato anche un credito di 200.000 dollari attraverso un istituto bancario d’oltreoceano, da valutare dopo una ulteriore dimostrazione delle apparecchiature da effettuarsi in Texas. Un affare che avrebbe potuto fruttare a Eugster e ai suoi sodali la bellezza di 60 milioni di dollari.
PAOLO IZZI, LA MENTE TECNOLOGICA DEL GRUPPO – Dalle carte, infine, si evince anche come la tecnologia in realtà fosse “italiana” e come il vero tecnico del drone fossero Paolo e Andrea Izzi. Un aspetto fondamentale, perché Eugster si difende principalmente affermando di avere l’autorizzazione Seco, valida per le esportazioni in Svizzera, ma gli inquirenti ritengono che la tecnologia venga prodotta a tutti gli effetti in Italia.
Paolo Izzi, ad esempio, è colui che rimprovera a Mereghello di non avere “le basi tecniche per ragionare su questa roba e quindi ci dobbiamo interfacciare noi” e di avere “fatto tutto il progetto di questo affare di tutta la parte elettronica”. Izzi fu coinvolto nel 2015 nell’operazione Goldfinger, che portò all’arresto della banda che nel 2012 svaligiò il caveau della filiale del Banco di Napoli a Foggia (il materiale tecnologico anche in quel caso venne rinvenuto a Pomezia); insieme a lui, quella volta agli arresti finì Stefano Virgili, “il mago delle vedove”, ritenuto in passato contiguo alla Banda della Magliana e coinvolto nel clamoroso furto al caveau del Palazzo di Giustizia a Piazzale Clodio a Roma, compiuto nel luglio 1999, insieme a Massimo Carminati.
AGGIORNAMENTO
“Per completezza dell’informazione, evidenziamo che il Gip presso il Tribunale di Velletri, in data 12.09.2018, ha disposto l’archiviazione nei confronti di Paolo Caramis, non essendo emerse evidenze, nel corso delle indagini, di una sua condotta attiva in ordine all’esportazione di materiale di armamento”.