Tesla, l’azienda californiana nota per le sue auto elettriche, attraversa un periodo assai difficile. La società ha corso molto in borsa, ma la produzione è rimasta al palo e la narrazione carica di promesse sembra essersi scontrata con la dura realtà.
di Antonio Sileo (fonte: lavoce.info)
La fortuna sociale
Tesla produce auto elettriche premium, ma anche pannelli fotovoltaici e sistemi di accumulo di energia. In pochissimi anni ha raggiunto una notevole notorietà. Buona parte del rimarchevole risultato va riconosciuto al suo eclettico proprietario, Elon Musk, che è anche riuscito a far percepire Tesla come una delle aziende più innovative al mondo.
Un successo, innanzitutto mediatico, che merita qualche specifica considerazione. A cominciare dal contesto che alla fama ha portato, quello statunitense e californiano in particolare, dove Tesla nel 2010 ha rilevato lo stabilimento di Fremont, già di General Motors e Toyota, a poche trafficate miglia dalla Silicon Valley. Lì, prima che altrove, le vetture Tesla hanno “spopolato”, anche grazie a incentivi non solo monetari, come l’utilizzo delle corsie preferenziali.
All’aura innovativa ed ecologica si è aggiunta quella prestazionale. Tesla non ha mai partecipato ad alcuna corsa automobilistica, eppure le sue vetture tutte elettriche sono ritenute velocissime, anche più di quelle a benzina. Tutto ciò è avvenuto semplicemente grazie a brevi filmati, divenuti virali su social e testate a caccia di notizie acchiappa-click, in cui le Tesla sfidano e battono in gare di accelerazione – tipica competizione americana – non solo Audi, Bmw o Mercedes, ma addirittura Porsche e Ferrari. Riducendo all’osso la questione: bravissimi sono stati in Tesla a sfruttare la capacità di accelerazione del motore elettrico e a ottimizzare l’elettronica in tal senso (oltre a puntare subito sul mercato globale) in un filmato di pochi secondi, che è appunto la caratteristica propria perché diventi virale. Nei secondi successivi, infatti, il non ancora vecchio motore a scoppio recupera, così come non c’è confronto in un giro in pista. Questi spunti prestazionali sono finiti in molte news finanziare e in molti hanno fatto ottimi realizzi sfruttando la crescita del titolo.
La mancanza di concorrenza
Sospinta da crescenti promesse, Tesla non solo è diventata l’alfiere dell’auto elettrica, in cui non aveva concorrenti diretti, ma è parsa allungare su un’altra importante innovazione come la guida autonoma. A molti è sembrato che il futuro fosse lì a pochi chilometri e ci potesse arrivare dalle silenziose, ecologiche ma prestazionali auto di Musk.
Nonostante l’azienda fosse lontana dal generare utili con due soli modelli in listino, poco più 50 mila vetture prodotte nel 2015, il titolo ha continuato a crescere, benché in diversi, noi tra questi, avessero giudicato non realistico l’obiettivo di raggiungere 500 mila unità prodotte all’anno entro il 2018, grazie all’arrivo della più abbordabile Model 3.
Ora, in poco più di un mese, il titolo ha perso più di un quarto del suo valore, Moody’s ha declassato il titolo e ancor di più il debito proprio per le difficoltà produttive sulla Model 3. Per problemi di corrosione ai bulloni del servosterzo, sono state infatti richiamate 123 mila Model S, tutte quelle prodotte prima di aprile 2016 e l’azienda è sotto inchiesta per un incidente mortale occorso quando sulla vettura era attivo il sistema Autopilot. Denominazione a dir poco fuorviante, che rappresenta un ulteriore rischio per Tesla poiché la guida autonoma è ancora lontana.
Possiamo poi aggiungere che le auto non basta venderle, ma bisognerebbe pure guadagnarci e nel caso di Tesla non possiamo esserne certi. La Model 3, ad esempio, ha un prezzo di attacco inferiore a quello della Chevrolet Bolt EV che è di un segmento inferiore. Sul vantaggio innovativo, poi, è come credere che un suv elettrico possa davvero essere più veloce di una Lamborghini. Comunque, i produttori storici, al di là dei proclami, generati anche dal successo borsistico di Tesla, non paiono affatto convinti di puntare tutto sull’auto elettrica, ma la loro capacità d’investimento è comunque più che sufficiente a coprire nuove nicchie. Il Gruppo Volkswagen nel piano industriale 2018-2022 ha destinato 20 miliardi per produrre vari modelli elettrificati, che non vuol dire tutti elettrici (ma non è detto che ciò sia un limite), mentre 90 sono i miliardi investiti su auto benzina e diesel.
Troppe promesse
Elon Musk è certamente un simpaticone, il 1° aprile ha fatto un bel tweet in cui annunciava bancarotta, però con soldi e prestazioni è meglio non scherzare troppo. A novembre, insieme a Semi, il primo camion elettrico (troppi fronti aperti hanno piegato anche Napoleone), a sorpresa Musk ha presentato, o meglio annunciato per il 2020, la nuova Roadster, con numeri davvero strabilianti: addirittura più di 400 km orari di velocità massima.
Ora poiché i materiali e gli pneumatici speciali hanno un prezzo alto per tutti (e per quelli della Bugatti Veyron, la prima a superare i 400 all’ora, era di più di 40 mila euro) ci chiediamo come sia mai possibile che tutta l’auto costi solo 215 mila euro.
La domanda non è poi così peregrina, visto che la Veyron è costata alla Volkswagen una perdita di 1,7 miliardi di euro: in media più di 4 milioni ad auto, eppure le auto avevano un prezzo di 1 o 2,5 milioni di euro.
Lavoce.info
Watchdog della politica economica italiana
Economia & Lobby - 8 Aprile 2018
Tesla, la parabola di Elon Musk. Perché ora rischia di fallire
Tesla, l’azienda californiana nota per le sue auto elettriche, attraversa un periodo assai difficile. La società ha corso molto in borsa, ma la produzione è rimasta al palo e la narrazione carica di promesse sembra essersi scontrata con la dura realtà.
di Antonio Sileo (fonte: lavoce.info)
La fortuna sociale
Tesla produce auto elettriche premium, ma anche pannelli fotovoltaici e sistemi di accumulo di energia. In pochissimi anni ha raggiunto una notevole notorietà. Buona parte del rimarchevole risultato va riconosciuto al suo eclettico proprietario, Elon Musk, che è anche riuscito a far percepire Tesla come una delle aziende più innovative al mondo.
Un successo, innanzitutto mediatico, che merita qualche specifica considerazione. A cominciare dal contesto che alla fama ha portato, quello statunitense e californiano in particolare, dove Tesla nel 2010 ha rilevato lo stabilimento di Fremont, già di General Motors e Toyota, a poche trafficate miglia dalla Silicon Valley. Lì, prima che altrove, le vetture Tesla hanno “spopolato”, anche grazie a incentivi non solo monetari, come l’utilizzo delle corsie preferenziali.
All’aura innovativa ed ecologica si è aggiunta quella prestazionale. Tesla non ha mai partecipato ad alcuna corsa automobilistica, eppure le sue vetture tutte elettriche sono ritenute velocissime, anche più di quelle a benzina. Tutto ciò è avvenuto semplicemente grazie a brevi filmati, divenuti virali su social e testate a caccia di notizie acchiappa-click, in cui le Tesla sfidano e battono in gare di accelerazione – tipica competizione americana – non solo Audi, Bmw o Mercedes, ma addirittura Porsche e Ferrari. Riducendo all’osso la questione: bravissimi sono stati in Tesla a sfruttare la capacità di accelerazione del motore elettrico e a ottimizzare l’elettronica in tal senso (oltre a puntare subito sul mercato globale) in un filmato di pochi secondi, che è appunto la caratteristica propria perché diventi virale. Nei secondi successivi, infatti, il non ancora vecchio motore a scoppio recupera, così come non c’è confronto in un giro in pista. Questi spunti prestazionali sono finiti in molte news finanziare e in molti hanno fatto ottimi realizzi sfruttando la crescita del titolo.
La mancanza di concorrenza
Sospinta da crescenti promesse, Tesla non solo è diventata l’alfiere dell’auto elettrica, in cui non aveva concorrenti diretti, ma è parsa allungare su un’altra importante innovazione come la guida autonoma. A molti è sembrato che il futuro fosse lì a pochi chilometri e ci potesse arrivare dalle silenziose, ecologiche ma prestazionali auto di Musk.
Nonostante l’azienda fosse lontana dal generare utili con due soli modelli in listino, poco più 50 mila vetture prodotte nel 2015, il titolo ha continuato a crescere, benché in diversi, noi tra questi, avessero giudicato non realistico l’obiettivo di raggiungere 500 mila unità prodotte all’anno entro il 2018, grazie all’arrivo della più abbordabile Model 3.
Ora, in poco più di un mese, il titolo ha perso più di un quarto del suo valore, Moody’s ha declassato il titolo e ancor di più il debito proprio per le difficoltà produttive sulla Model 3. Per problemi di corrosione ai bulloni del servosterzo, sono state infatti richiamate 123 mila Model S, tutte quelle prodotte prima di aprile 2016 e l’azienda è sotto inchiesta per un incidente mortale occorso quando sulla vettura era attivo il sistema Autopilot. Denominazione a dir poco fuorviante, che rappresenta un ulteriore rischio per Tesla poiché la guida autonoma è ancora lontana.
Possiamo poi aggiungere che le auto non basta venderle, ma bisognerebbe pure guadagnarci e nel caso di Tesla non possiamo esserne certi. La Model 3, ad esempio, ha un prezzo di attacco inferiore a quello della Chevrolet Bolt EV che è di un segmento inferiore. Sul vantaggio innovativo, poi, è come credere che un suv elettrico possa davvero essere più veloce di una Lamborghini. Comunque, i produttori storici, al di là dei proclami, generati anche dal successo borsistico di Tesla, non paiono affatto convinti di puntare tutto sull’auto elettrica, ma la loro capacità d’investimento è comunque più che sufficiente a coprire nuove nicchie. Il Gruppo Volkswagen nel piano industriale 2018-2022 ha destinato 20 miliardi per produrre vari modelli elettrificati, che non vuol dire tutti elettrici (ma non è detto che ciò sia un limite), mentre 90 sono i miliardi investiti su auto benzina e diesel.
Troppe promesse
Elon Musk è certamente un simpaticone, il 1° aprile ha fatto un bel tweet in cui annunciava bancarotta, però con soldi e prestazioni è meglio non scherzare troppo. A novembre, insieme a Semi, il primo camion elettrico (troppi fronti aperti hanno piegato anche Napoleone), a sorpresa Musk ha presentato, o meglio annunciato per il 2020, la nuova Roadster, con numeri davvero strabilianti: addirittura più di 400 km orari di velocità massima.
Ora poiché i materiali e gli pneumatici speciali hanno un prezzo alto per tutti (e per quelli della Bugatti Veyron, la prima a superare i 400 all’ora, era di più di 40 mila euro) ci chiediamo come sia mai possibile che tutta l’auto costi solo 215 mila euro.
La domanda non è poi così peregrina, visto che la Veyron è costata alla Volkswagen una perdita di 1,7 miliardi di euro: in media più di 4 milioni ad auto, eppure le auto avevano un prezzo di 1 o 2,5 milioni di euro.
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Ucraina, summit a Parigi: Meloni frena sull’invio di truppe. E Scholz: “Sbagliato parlare di militari Ue sul terreno”. Starmer: “Per la pace vitali le garanzie Usa”
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Roma, 17 feb. (Adnkronos) - Ha ribadito le perplessità sul formato del vertice di Parigi, sull'invio di truppe europee in Ucraina e la necessità di percorrere strade che prevedano il coinvolgimento degli Stati Uniti. Queste le linee, a quanto si apprende, dell'intervento della premier Giorgia Meloni oggi al summit a Parigi convocato da Emmanuel Macron alla presenza del britannico Keir Starmer, del premier olandese, Dick Schoof, del cancelliere tedesco Olaf Scholz, del capo del governo polacco Donald Tusk e del primo ministro spagnolo Pedro Sanchez. All'Eliseo anche il segretario generale della Nato, Mark Rutte e i vertici Ue, Antonio Costa e Ursula von der Leyen.
Meloni, a quanto si apprende, ha sottolineato di aver voluto essere presente per non rinunciare a portare il punto di vista dell’Italia, ma di avere espresso le sue perplessità riguardo un formato che, a suo giudizio, esclude molti Paesi, a partire da quelle più esposti al rischio di estensione del conflitto, anziché includere, come sarebbe opportuno fare in una fase storica come questa. Anche perché, avrebbe rimarcato la premier, la guerra in Ucraina l’abbiamo pagata tutti.
Per l'Italia le questioni centrali rimangono le garanzie di sicurezza per l’Ucraina, perché senza queste ogni negoziato rischia di fallire. Quindi Meloni avrebbe rimarcato l'utilità di un confronto tra le varie ipotesi in campo, osservando come quella che prevede il dispiegamento di soldati europei in Ucraina appaia come la più complessa e forse la meno efficace. Una strada su cui l'Italia avrebbe mostrato le sue perplessità al tavolo.
Secondo Meloni, a quanto viene riferito, andrebbero esplorate altre strade che prevedano il coinvolgimento anche degli Stati Uniti, perché è nel contesto euro-atlantico che si fonda la sicurezza europea e americana. La premier avrebbe definito una sferzata sul ruolo dell'Europa quella lanciata dall'amministrazione Usa ma ricordando che prima di questa analoghe considerazioni sono state già state fatte da importanti personalità europee. È una sfida, avrebbe quindi sottolineato, per essere più concreti e concentrarsi sulle cose davvero importanti, come la necessità di difendere la nostra sicurezza a 360 gradi, i nostri confini, i nostri cittadini, il nostro sistema produttivo.
Secondo la presidente del Consiglio sono i cittadini europei a chiederlo: non dobbiamo chiederci cosa gli americani possono fare per noi, ma cosa noi dobbiamo fare per noi stessi.
Meloni avrebbe quindi rimarcato come il formato del summit all'Eliseo non vada considerato come un formato anti-Trump. Tutt’altro. Gli Stati Uniti lavorano a giungere ad una pace in Ucraina e noi dobbiamo fare la nostra parte, la sollecitazione della premier italiana. Meloni infine, sempre a quanto si apprende, avrebbe manifestato condivisione per il senso della parole del Vice Presidente degli Stati Uniti Vance, ricordando di aver espresso concetti simili in precedenza. Ancora prima di garantire la sicurezza in Europa, avrebbe sottolineato Meloni, è necessario sapere che cosa stiamo difendendo.
Parigi, 17 feb. (Adnkronos/Afp) - "La Russia minaccia tutta l'Europa". Lo ha detto la premier danese Mette Frederiksen dopo i colloqui di emergenza a Parigi sul cambiamento di politica degli Stati Uniti sulla guerra in Ucraina.
La guerra in Ucraina riguarda i "sogni imperialisti di Mosca, di costruire una Russia più forte e più grande, e non credo che si fermeranno in Ucraina", ha detto ai giornalisti, mettendo in guardia gli Stati Uniti dai tentativi di concordare un cessate il fuoco "rapido" che darebbe alla Russia la possibilità di "mobilitarsi di nuovo, attaccare l'Ucraina o un altro paese in Europa".
Parigi, 17 feb. (Adnkronos) - "Oggi a Parigi abbiamo ribadito che l'Ucraina merita la pace attraverso la forza. Una pace rispettosa della sua indipendenza, sovranità, integrità territoriale, con forti garanzie di sicurezza. L'Europa si fa carico della sua intera quota di assistenza militare all'Ucraina. Allo stesso tempo abbiamo bisogno di un rafforzamento della difesa in Europa". Lo ha scritto su X la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.