Calano gli arrivi di rifugiati in Italia. Nel 2017 sono stati 62.067 in meno rispetto all’anno precedente, ovvero 119.369 contro i 181.436 del 2017. Ma l’obiettivo di un sistema di accoglienza unico e con standard uniformi è ancora lontano, anzi aumentano le difficoltà di accesso alla protezione per chi chiede aiuto. A dirlo, con il suo Rapporto annuale, è il Centro Astalli. “È necessario uscire dalla dicotomia e avere un unico sistema di accoglienza diffuso”, spiega padre Camillo Ripamonti. Le persone che arrivano in Europa in cerca di protezione sono diminuite, “ma molte vanno a finire in mezzo alla strada”. “Ed è necessario superare la Bossi-Fini, non rappresentativa del fenomeno migratorio oggi”, dice Ripamonti.

L’organizzazione dei Gesuiti per i rifugiati nel 2017 ha assistito 30mila persone, delle quali 14mila a Roma. Nei suoi otto centri (Roma, Palermo, Catania, Trento, Vicenza, Napoli, Milano, Padova), con 687 volontari, ha distribuito 59.908 pasti. Sono state complessivamente accolte nei centri d’accoglienza 1.089 persone, di cui a Roma 255 nei centri Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e 161 nelle comunità di ospitalità. Dal rapporto emerge che i Centri di accoglienza straordinaria (Cas) restano la soluzione prevalente, mentre la rete Sprar, sia pure in crescita, a luglio 2017 copriva poco meno del 15% dei circa 205.000 posti disponibili. Nonostante il tentativo di razionalizzare il sistema, anche attraverso misure che incentivino la partecipazione degli enti locali alla rete Sprar, la situazione su molti territori non è in linea con quanto previsto e, in particolare, il passaggio tra la prima e la seconda accoglienza avviene con forte ritardo e per un numero limitato di persone, penalizzando la qualità dei percorsi di integrazione

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