È scattata all’alba l’operazione “Monopoli”: in carcere Michele Surace e suo figlio Giuseppe, Francesco Andrea Giordano e Carmelo Ficara. Per i pm, sono affiliati alle cosche Latella-Ficara e Tegano e sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, fittizia intestazione di beni e autoriciclaggio
Una rete di interessi economici criminali coltivati da imprenditori edili e immobiliari. È scattata stamattina all’alba l’operazione “Monopoli”: i carabinieri hanno arrestato quattro imprenditori ritenuti espressione della ‘ndrangheta di Reggio Calabria. Al termine di un’inchiesta, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia, sono finiti in carcere Michele Surace e suo figlio Giuseppe – proprietari dell’unica sala Bingo della città dello Stretto -, Francesco Andrea Giordano e Carmelo Ficara. Per i pm, che hanno emesso un decreto di fermo, sono affiliati alle cosche Latella-Ficara e Tegano e sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, fittizia intestazione di beni e autoriciclaggio.
I dettagli dell’inchiesta “Monopoli” saranno illustrati stamattina nel corso di una conferenza stampa dal procuratore vicario Gaetano Paci. Intanto i carabinieri stanno procedendo anche al sequestro di numerose aziende, centinaia di appartamenti e decine di terreni edificabili nel capoluogo di provincia, per un valore complessivo di oltre 50 milioni di euro. Secondo gli inquirenti, i quattro imprenditori arrestati avrebbero contato sull’appoggio delle più pericolose cosche cittadine per accumulare enormi profitti illeciti, riciclati in fiorenti attività commerciali.
I nomi degli indagati compaiono già in diverse inchieste della Procura di Reggio e di Milano. In particolare, qualche anno fa Michele Surace era stato coinvolto in un’indagine che aveva riguardato l’incendio di una sala Bingo, di cui attraverso il figlio aveva il 50% della proprietà, nella zona di Cernusco sul Naviglio. Più recentemente, invece, sempre Michele Surace e il suo socio Andrea Giordano sono finiti nel registro degli indagati dell’operazione “Martingala” per aver fatto “confluire in Svizzera – scrivono gli investigatori – i proventi derivanti loro da un’imponente truffa ai danni dello Stato, consumata tramite la ‘Idro Mineral Beverage S.r.l.’ che aveva indebitamente percepito contributi della legge ex 488, edificando una struttura produttiva, poi data alle fiamme per intascare un lauto indennizzo assicurativo”. Soldi che i due – è scritto sempre in un’informativa – “avevano chiesto ed ottenuto che la compagnia assicuratrice bonificasse presso un conto bancario svizzero”. L’indennizzo assicurativo poi, grazie ai servizi del faccendiere Antonio Scimone (principale indagato dell’inchiesta “Martingala”), doveva rientrare in Italia attraverso due società slovene.
Questa vicenda non riguarda l’inchiesta di oggi nella quale, però, Michele Surace, suo figlio Giuseppe e Andrea Giordano rispondono di associazione a delinquere di stampo mafioso. In realtà, secondo i pm Stefano Musolino e Walter Ignazitto, gli arrestati sarebbero i gestori occulti del Bingo per conto della cosca Tegano di Archi. Surace e Giordano sono anche soci della “S.G. Costruzioni” che, in passato, era finita nel mirino della Dda di Reggio Calabria, perché beneficiaria “di versamenti in contanti ed assegni, senza alcuna giustificazione commerciale”, erogati da una società distributrice di apparecchi elettromedicali coinvolta in una truffa aggravata ai danni dell’Asp di Locri.
Con Carmelo Ficara (accusato di concorso esterno), invece, Michele Surace è stato socio della “Copacabana Village Calabria srl”. Da sempre ritenuto vicino alle cosche Latella e Serraino, l’arresto Carmelo Ficara avrebbe assunto “con il tempo il ruolo di imprenditore edile, fungendo da copertura legale all’attività di reinvestimento di denaro di provenienza illecita”. Nel 1987 è stato coinvolto nell’omicidio del vigile urbano Giuseppe Macheda. Condannato in primo grado all’ergastolo, però, Ficara è stato assolto in Corte d’Assise d’Appello.
Per capire l’alto spessore criminale di Carmelo Ficara è sufficiente ricordare come, nel periodo della guerra di mafia a Reggio Calabria (tra il 1985 e il 1991), si muoveva a bordo di un’auto blindata. Il suo nome compare, inoltre, in un’intercettazione dell’inchiesta ‘Araba Fenice’ dove due indagati, appartenenti a importanti casati mafiosi, si lamentavano della spregiudicatezza dell’imprenditore arrestato oggi. “Carmelo Ficara si è preso il capannone, là – dice uno degli intercettati – Senza venire a dirmi niente. Gli avevo detto che mi bisognava a me. Sono andati e se lo sono comprati all’asta. Un milione di euro”.