Papa Francesco risponde così, nella sua esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, intitolata Gaudete et exsultate, a chi lo accusa di essere comunista per il suo costante impegno in favore dei profughi. Un impegno che, secondo i suoi critici più accesi nel mondo cattolico, andrebbe a discapito dei cosiddetti “valori non negoziabili”, ovvero quelli che riguardano la sfera bioetica
“Nocivo e ideologico è anche l’errore di quanti vivono diffidando dell’impegno sociale degli altri, considerandolo qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato, immanentista, comunista, populista. O lo relativizzano come se ci fossero altre cose più importanti o come se interessasse solo una determinata etica o una ragione che essi difendono”. Papa Francesco risponde così, nella sua esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, intitolata Gaudete et exsultate, a chi lo accusa di essere comunista per il suo costante impegno in favore dei profughi. Un impegno che, secondo i suoi critici più accesi nel mondo cattolico, andrebbe a discapito dei cosiddetti “valori non negoziabili”, ovvero quelli che riguardano la sfera bioetica. “Spesso – scrive il Papa – si sente dire che, di fronte al relativismo e ai limiti del mondo attuale, sarebbe un tema marginale, per esempio, la situazione dei migranti. Alcuni cattolici affermano che è un tema secondario rispetto ai temi ‘seri’ della bioetica. Che dica cose simili un politico preoccupato per i suoi successi si può comprendere, ma non un cristiano, a cui si addice solo l’atteggiamento di mettersi nei panni di quel fratello che rischia la vita per dare un futuro ai suoi figli”. “Non si tratta – precisa Francesco – dell’invenzione di un Papa o di un delirio passeggero”.
Nella sua esortazione Bergoglio spiega con chiarezza che la difesa della vita in tutte le sue forme, ovvero il contrasto all’aborto e all’eutanasia, va di pari passi con l’attenzione ai poveri, a coloro che egli definisce “gli scartatati della società”. Una risposta netta al mondo pro life che in questi primi cinque anni di pontificato ha ripetutamente preso di mira Francesco reo di aver cancellato la battaglia sui “valori non negoziabili” condotta da Benedetto XVI e dagli ex presidenti della Cei, i cardinali Camillo Ruini e Angelo Bagnasco. “La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, – scrive Bergoglio – deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto. Non possiamo proporci un ideale di santità che ignori l’ingiustizia di questo mondo, dove alcuni festeggiano, spendono allegramente e riducono la propria vita alle novità del consumo, mentre altri guardano solo da fuori e intanto la loro vita passa e finisce miseramente”.
Il Papa propone un vero e proprio esame di coscienza: “Quando incontro una persona che dorme alle intemperie, in una notte fredda, posso sentire che questo fagotto è un imprevisto che mi intralcia, un delinquente ozioso, un ostacolo sul mio cammino, un pungiglione molesto per la mia coscienza, un problema che devono risolvere i politici, e forse anche un’immondizia che sporca lo spazio pubblico. Oppure posso reagire a partire dalla fede e dalla carità e riconoscere in lui un essere umano con la mia stessa dignità, una creatura infinitamente amata dal Padre, un’immagine di Dio, un fratello redento da Cristo. Questo è essere cristiani! O si può forse intendere la santità prescindendo da questo riconoscimento vivo della dignità di ogni essere umano?”.
Dopo le encicliche Lumen fidei, scritta a quattro mani con Benedetto XVI, e Laudato si’ e le esortazioni apostoliche Evangelii gaudium e Amoris laetitia, Gaudete et exsultate viene pubblicata all’inizio del sesto anno di pontificato di Francesco. Un anno che è iniziato con grandi difficoltà dopo le dimissioni dell’ex prefetto della Segreteria per la comunicazione, monsignor Dario Edoardo Viganò, reo di aver taroccato una lettera di Benedetto XVI; il processo per pedofilia a cui è sottoposto in Australia il prefetto della Segreteria per l’economia, il cardinale George Pell; e il procedimento contro monsignor Carlo Alberto Capella, ex consigliere della nunziatura della Santa Sede negli Usa, indagato per pedopornografia e attualmente detenuto in una cella in Vaticano.
Forse non è un caso che Francesco sottolinea che “per essere santi non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi”, precisando che “non tutto quello che dice un santo è pienamente fedele al Vangelo, non tutto quello che fa è autentico e perfetto. Ciò che bisogna contemplare è l’insieme della sua vita, il suo intero cammino di santificazione”. Il Papa non nasconde che “ci sono ancora dei cristiani che si impegnano nel seguire un’altra strada: quella della giustificazione mediante le proprie forze, quella dell’adorazione della volontà umana e della propria capacità, che si traduce in un autocompiacimento egocentrico ed elitario privo del vero amore. Si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente diversi tra loro: l’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione nella cura della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, la vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, l’attrazione per le dinamiche di auto-aiuto e di realizzazione autoreferenziale. In questo alcuni cristiani spendono le loro energie e il loro tempo, invece di lasciarsi condurre dallo Spirito sulla via dell’amore, invece di appassionarsi per comunicare la bellezza e la gioia del Vangelo e di cercare i lontani nelle immense moltitudini assetate di Cristo”.
Bergoglio non nasconde che “molte volte, contro l’impulso dello Spirito, la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso di pochi. Questo accade quando alcuni gruppi cristiani danno eccessiva importanza all’osservanza di determinate norme proprie, di costumi o stili. In questo modo, spesso si riduce e si reprime il Vangelo, togliendogli la sua affascinante semplicità e il suo sapore. È forse una forma sottile di pelagianesimo, perché sembra sottomettere la vita della grazia a certe strutture umane. Questo riguarda gruppi, movimenti e comunità, ed è ciò che spiega perché tante volte iniziano con un’intensa vita nello Spirito, ma poi finiscono fossilizzati o corrotti”. Per il Papa, infatti, “la giustizia che propone Gesù non è come quella che cerca il mondo, molte volte macchiata da interessi meschini, manipolata da un lato o dall’altro. La realtà ci mostra quanto sia facile entrare nelle combriccole della corruzione, far parte di quella politica quotidiana del ‘do perché mi diano’, in cui tutto è commercio. E quanta gente soffre per le ingiustizie, quanti restano ad osservare impotenti come gli altri si danno il cambio a spartirsi la torta della vita. Alcuni rinunciano a lottare per la vera giustizia e scelgono di salire sul carro del vincitore. Questo non ha nulla a che vedere con la fame e la sete di giustizia che Gesù elogia”.
Francesco mette in guardia anche da un altro pericolo: “Il consumismo edonista può giocarci un brutto tiro, perché nell’ossessione di divertirsi finiamo con l’essere eccessivamente concentrati su noi stessi, sui nostri diritti e nell’esasperazione di avere tempo libero per godersi la vita. Sarà difficile che ci impegniamo e dedichiamo energie a dare una mano a chi sta male se non coltiviamo una certa austerità, se non lottiamo contro questa febbre che ci impone la società dei consumi per venderci cose, e che alla fine ci trasforma in poveri insoddisfatti che vogliono avere tutto e provare tutto. Anche il consumo di informazione superficiale e le forme di comunicazione rapida e virtuale possono essere un fattore di stordimento che si porta via tutto il nostro tempo e ci allontana dalla carne sofferente dei fratelli”. Da qui la denuncia del Papa che “anche i cristiani possono partecipare a reti di violenza verbale mediante internet e i diversi ambiti o spazi di interscambio digitale. Persino nei media cattolici si possono eccedere i limiti, si tollerano la diffamazione e la calunnia, e sembrano esclusi ogni etica e ogni rispetto per il buon nome altrui. Così si verifica un pericoloso dualismo, perché in queste reti si dicono cose che non sarebbero tollerabili nella vita pubblica, e si cerca di compensare le proprie insoddisfazioni scaricando con rabbia i desideri di vendetta”.