In due settimane i neoeletti hanno depositato un numero impressionante di proposte ma per la maggior parte sono quelle non trattate o decadute nella vecchia legislatura che contribuiscono però a rianimare vecchi cavalli di battaglia e alzare gli indici di produttività dei proponenti. Pd e Fi in prima linea per cambiar la Carta nonostante la precedente legislatura si sia infranta su quel cruccio, nessuna da M5S e Lega. Eccole
Settecento testi in due settimane, un record. Tante sono le proposte di legge depositate nei due rami del Parlamento dal 23 marzo scorso, giorno di avvio ufficiale della nuova legislatura. E’ un fiume di parole e articoli di legge su ogni materia dello scibile umano, dalla cremazione dei defunti alle più alte sfere dei diritti, compresi quelli degli animali. Il prodigio che contraddice ogni luogo comune sugli eletti è in realtà solo un trucco. Sembra che lavorino a pieno regime per dare un contenuto alla Terza Repubblica ma basta entrare nei singoli testi per veder naufragare l’entusiasmo: nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di un mero copia-incolla di proposte rimaste appese alla vecchia legislatura riproposte paro paro nella nuova dai loro stessi estensori rieletti o da loro colleghi, giacché nell’altra non avevano superato il vaglio dell’assegnazione in commissione o erano rimaste a metà del guado. Tanto erano sentite, urgenti ed essenziali.
La fabbrica delle leggi-fotocopia
L’industria che ricicla vecchi testi è un rituale di ogni nuova stagione parlamentare. In questa edizione, mentre scriviamo, vede primeggiare Forza Italia (192 proposte), seguita dal Pd (122), quindi Fdi (83) e Lega (71) infine M5S con 70 testi. La prassi si presta a opposte interpretazioni e giudizi. Una deteriore stigmatizza la furbizia dei parlamentari che, vuotando il sacco di vecchie carte, riescono ad alterare i loro indici di efficienza e produttività: sono in Parlamento da una manciata di settimane appena e all’attivo hanno anche una dozzina di proposte pronte, con vantaggio esponenziale sui neofiti che non possono certo competere. Insomma, una truffa. L’altra lettura, di segno opposto, coglie nel rinnovato afflato legislativo un segno positivo di cura e coerenza verso temi cari agli eletti, una conferma di impegni presi “sul territorio”, per quanto vari e difformi come la natura umana: limiti ai diserbanti, tutela di filari e alberi monumentali, ripristino del “vuoto a rendere”, etichettatura del pane, trattamento farmacologico dei pedofili, riconoscimento del pomodorino San Marzano, iva ridotta sui pannolini, mine anti-uomo, sconti sulle assicurazioni, tutela dei piccoli volatili e “abolizione del servizio di piazza con veicoli a trazione animale”. E via dicendo.
Per cambiare la Costituzione firmano in 39
C’è un altro numero del fiume tracimante che salta all’occhio. Su 659 proposte 39 sono relative a testi di rango costituzionale. Significa che, in un modo o nell’altro, incidono sulla Carta fondamentale. Non ci sarebbe nulla di strano, se la legislatura alle spalle non fosse tracimata rovinosamente proprio seguendo lo spirito riformatore dissolto nel referendum e nel rovesciamento delle urne il 4 marzo, col Partito Democratico primo sponsor della riforma crollato al 18%, a tutto vantaggio dei suoi acerrimi avversatori. Alcune proposte strappano un sorriso: l’onorevole Rossini del Misto che chiede il distacco di Valvestino e Magasa dalla Lombardia e la loro pronta riaggregazione sotto le bandiere del Trentino e Sud Tirolo. Per il gruppo per le Autonomie Cortina d’Ampezzo dovrebbe finalmente distaccarsi dal Veneto. Altri testi depositati sembrano invece insinuare nuovamente il tarlo della modifica alla Carta, come nulla fosse successo. Anche qui la contabilità riserva sorprese. Cinque proposte sono a firma Pd, partito ancora attivissimo nei suoi intenti riformatori.
Antologia dei nuovi chirurghi costituzionali
Tra le proposte c’è quella di Roberto Morassut che lavora ai fianchi della Carta, tornando a chiedere di cambiare gli articoli 114, 116, 131 e 132 della Costituzione e rimaneggiare il titolo V in materia di regioni, province e città metropolitane. Anche Tommaso Cerno vuole girare il cacciavite in quelle pagine. Il deputato Mauro Del Barba ritoccherebbe invece gli articoli 2, 9 e 41 in materia di tutela ambientale e promozione dello sviluppo sostenibile. Il giurista Stefano Ceccanti (Pd) vuole l’elezione diretta del Presidente della Repubblica.
Il deputato Paolo Russo di Forza Italia si spinge oltre e chiede il suffragio universale per l’elezione del presidente del consiglio. Il partito di Berlusconi è a pari merito nella classifica dei riformatori costituzionali (3 proposte alla Camera, due al Senato). La collega Michela Vittoria Brambilla, già promotrice di un partito animalista rifiutato dalle urne ma ripescato nei collegi, vuole il rispetto degli animali in Costituzione.
Per Fratelli d’Italia, che detiene il primato con 8 proposte, attivissimo è Edmondo Cirielli, il deputato delle rinnegate depenalizzazioni d’epoca berlusconiana. Ne deposita da solo tre, una chiede di istituire 36 nuove regioni (20 sono poche). In quota anche quella firmata direttamente da Giorgia Meloni che modificando gli articoli 11 e 117 introduce nella Carta il principio di “sovranità” rispetto all’ordinamento dell’Unione Europea. Non pervenuti i Cinque Stelle: hanno depositato 70 proposte di legge, nessuna per cambiare la Carta. Idem per la Lega (c’è una proposta a firma Massimiliano Fedriga ma è per l’attuazione del diritto al lavoro, art. 4 Cost, non per l’architettura istituzionale). L’astensione di grillini e uomini del Carroccio non cambia però il dato di fondo: con una quarantina di leggi costituzionali e nessun governo all’orizzonte, nel nuovo Parlamento il partito trasversale dei revisionisti della Carta ha un promettente passato davanti a sé. E lo coltiva infilando i suoi vecchi arnesi nella fabbrica delle nuove leggi.