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Ttip, la scusa ‘Trump ci costringe a farlo’ mette in pericolo i nostri diritti e la nostra salute

di Monica Di Sisto

Mentre Donald Trump tenta di imporre gli interessi americani nel mercato globale con una precisa alternanza di sparate e misure – e la Commissione europea si precipita per questo a riaprire i negoziati commerciali cui oltre 5 milioni di cittadini in tutta Europa si sono opposti con petizioni e manifestazioni -, lo staff del presidente Usa fa uscire tempestivamente il rapporto 2018 sulle leggi estere più distorsive per gli scambi a stelle e strisce.

Un elenco dettagliato di tutti quegli standard e misure di protezione della qualità produttiva e sociale, dell’ambiente e della salute di oltre 60 Paesi – Europa e Italia comprese – che gli Stati Uniti vivono come ostacoli ingiustificabili per l’import e l’export dei loro prodotti e che puntano ad azzerare con le prossime trattative. Una vera galleria degli orrori da 504 pagine che deve spingere gli eletti nel Parlamento europeo e italiano a obbligare la Commissione a riflettere su quanto della nostra sicurezza, scienza e società rischia di essere azzerato con la scusa che “Trump ci costringe a farlo”. E che per non subire perdite commerciali dobbiamo allentare le uniche frontiere in piedi tra noi e gli Usa: quelle dei diritti.

Citiamo alcuni passaggi del rapporto abbastanza chiarificatori a titolo di esempio.

Le molte pagine dedicate all’Unione europea si aprono con la dichiarazione chiara che “gli Stati Uniti restano preoccupati per una serie di misure che l’Ue sostiene apparentemente per le finalità della sicurezza alimentare e della protezione della vita o della salute umana, animale o vegetale. Nello specifico, gli Stati Uniti sono preoccupati che tali misure restringano inutilmente il commercio senza promuovere i loro obiettivi di sicurezza perché non sono basati su principi scientifici, mantenuti con sufficienti prove scientifiche o applicati solo nella misura necessaria”. Innanzitutto “bandi e restrizioni varie sulla carne prodotta utilizzando ormoni, beta antagonisti o altri promotori della crescita, nonostante evidenze scientifiche dimostrino che quella carne è sana”.

Gli Usa puntano il dito contro i livelli imposti da noi ai residui dello steroide ractopamina, contro il divieto della clonazione animale, ci rimproverano addirittura di aver imposto un limite a loro avviso troppo basso per la presenza di cellule somatiche nel latte preziosi segnalatori di infezioni – e che dovrebbe essere quasi raddoppiato e allineato agli standard tollerati Oltreoceano.

Gli Stati Uniti sostengono senza reticenze che “i ritardi nel processo di approvazione per le colture geneticamente modificate (Ogm) ne hanno impedito l’immissione sul mercato Ue nonostante essi godano di autorizzazione nel mercato Usa. Inoltre, sembra che il tempo necessario per l’approvazione da parte dell’Ue delle nuove colture Ogm aumenti”, notano con fastidio. Eppure molti Paesi europei come il nostro ne vietano la commercializzazione per scelta, non per incapacità burocratiche.

Nonostante, poi, la normativa europea per la sicurezza della chimica sia studiata a livello globale per la sua capacità, agli Usa proprio non va giù: ritengono che “la direttiva Reach sembra imporre requisiti che sono o più onerosi per i produttori stranieri rispetto ai produttori europeo, o semplicemente non necessari”, puntando il dito contro il fatto che alcuni Paesi membri applichino la direttiva con particolare cura.

L’Italia è citata almeno otto volte nel rapporto Usa. Il governo Trump si scaglia contro le diverse misure di etichettatura di origine che abbiamo assunto per i prodotti alimentari – latte, riso e grano, poi pomodoro -, perché le loro imprese potrebbero vedere danneggiato l’export di ingredienti non italiani per i trasformati Made in Italy, una volta che al consumatore fosse chiaro che italiani non sono affatto.

Ci ricordano tra i 17 membri dell’Unione che misteriosamente vietano l’ingresso ai loro Ogm. E poi risulta intollerabile oltreoceano la pressione esercitata da Paesi come l’Italia per estendere la protezione delle indicazioni geografiche a prodotti agricoli, alimentari, ma anche non food, “che fa crescere numerose e serie preoccupazioni legali e commerciali, anche per quanto riguarda il grado di incoerenza con i sistemi di marchi registrati di molti paesi aderenti alla World Intellectual Property Organization (Wipo), e potrebbe avere negative conseguenze commerciali per i detentori di marchi e gli esportatori statunitensi che utilizzano termini generici”.

Cambiando settore, gli Usa ci accusano di non riuscire a concorrere negli appalti del nostro Paese per l’alto livello di corruzione che vi si verifica. Sottolineano, inoltre, come le imprese americane del settore farmaceutico “abbiano espresso preoccupazioni riguardo a diverse politiche degli Stati membri – tra cui l’Italia – che compromettono l’accesso al mercato per i prodotti farmaceutici, comprese le procedure non trasparenti e la mancanza di contributo significativo delle parti interessate nelle politiche relative ai prezzi e ai rimborsi, come ad esempio nei prezzi di riferimento terapeutici e in altri controlli sui prezzi”. E ancora, povere vittime dell’austerity “le aziende sanitarie statunitensi affrontano un ambiente imprenditoriale imprevedibile in Italia, che comprende un’implementazione estremamente variabile di complesse politiche di budget sanitario”.

Ciò che appare francamente ancora più sconcertante è che molte imprese americane – ricordiamo, a titolo di esempio, giganti come Facebook e Google – secondo il rapporto del governo Trump “dichiarano di essere state prese di mira negativamente dall’Autorità tributaria italiana in virtù del fatto che si impegnano in operazioni internazionali”. Le regole fiscali in Italia, inoltre, lamentano gli Usa “cambiano frequentemente e sono interpretate in modo incoerente”. Si criticano le regole nazionali per la concorrenza nel sistema radiotelevisivo come inspiegabilmente restrittive. Dato ancor più straniante è quello per cui le società statunitensi del petrolio e del gas lamentino come ostacolo al commercio che “si sono trovate a dover affrontare lunghe attese e e ritardi nell’ottenere i permessi necessari dal governo italiano per l’esplorazione e la perforazione”. Come se i permessi per operazioni come queste fossero dovuti e non opponibili in virtù delle buone relazioni commerciali.

Già solo a questa semplice lettura è chiaro che quelli che loro definiscono “ostacoli al commercio”, noi possiamo tranquillamente riassumerli nella parola “democrazia”. Non è un tavolo commerciale a Bruxelles a poter decidere come amministriamo i nostri portafogli, il nostro sistema sanitario, proteggiamo la nostra salute, informiamo i consumatori, tuteliamo il nostro territorio prezioso da esplorazioni ed estrazioni invasive.

Come Campagna Stop Ttip/Ceta vi invitiamo a scrivere insieme a noi ai parlamentari europei e italiani per chiedere loro di fermare l’ingerenza della politica commerciale europea sui nostri diritti. Sul sito della campagna www.stop-ttip-italia.net troverete tra qualche giorno una proposta di lettera e gli indirizzi dei vostri eletti. Perché l’acciaio resta acciaio, Trump sarà pure il presidente degli Stati Uniti, ma questa volta in gioco c’è la nostra vita.