La sanità milanese ripiomba nel baratro delle bustarelle, dei favori, delle manovre per far pressione sui politici, dei regali. E poco importa che i camici bianchi finiti nel mirino della Procura di Milano guadagnassero fino a 300mila euro l’anno. Chiedevano e ottenevano “svendendo” la loro funzione, in un caso anche a scapito della salute dei pazienti. Quote della società – di cui erano soci occulti – e i relativi utili, sponsorizzazioni per la partecipazione a programmi televisivi, contratti di consulenza, royalties per la vendita di prodotti sanitari, pagamenti delle spese per la partecipazione a congressi, ma anche promesse di prestiti o la sistemazione per i figli. Avevano questa forma le tangenti versate a quattro primari e un direttore sanitario che in cambio favorivano l’acquisto dei prodotti – soprattutto ortopedici – delle società di un imprenditore di Monza. Senza contare i regali come una borsa Louis Vuitton, neanche tanto gradita, o un cesto natalizio da almeno mille euro contenenti culatello e salmone, una bottiglia magnum di champagne Roeder e tartufo. Medici non solo “corrotti” ma “imprenditorializzati” li definisce il gip di Milano, Teresa De Pascale, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare parlando di un vero e proprio “sistema” e di “palese conflitto di interesse“.
Gli arrestati. Indagine partita dopo l’arresto di Norberto Confalonieri
Ed è per questo che i militari del Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza hanno arrestato per l’Istituto Ortopedico Pini-Cto, Paola Navone, direttore sanitario, Giorgio Maria Calori, responsabile dell’unità operativa di Chirurgia ortopedica riparativa, professore a contratto all’università di Milano dal 2002, e Carmine Cucciniello, direttore dell’Unità di ortopedia correttiva. Per il Galeazzi, Lorenzo Drago direttore laboratorio analisi e professore di Microbiologia all’università di Milano, e Carlo Luca Romanò responsabile di chirurgia ricostruttiva. Tutti ai domiciliari, mentre per l’imprenditore Tommaso Brenicci, il gip ha disposto il carcere. L’accusa è di corruzione così come contestata dai procuratori aggiunti Eugenio Fusco e Maria Letizia Mannella. Nell’ordinanza di custodia cautelare, il giudice per le indagini preliminari ricostruisce le assegnazioni di forniture di protesi ortopediche e apparecchiature mediche al Galeazzi e al Gaetano Pini, che sono i due più importanti ospedali milanesi specializzati in ortopedia. Il secondo è interamente pubblico, mentre il primo è privato convenzionato e fa parte del gruppo San Donato della famiglia Rotelli che l’aveva rilevato dal gruppo Ligresti dopo il tracollo seguito all’incendio della camera iperbarica alla fine degli anni novanta. La nuova inchiesta è partita dall’indagine su Norberto Confalonieri, ex primario del Pini Cto, arrestato lo scorso anno.
Le partecipazioni nelle società dell’imprenditore
Sei le società su cui ha hanno indagato le Fiamme Gialle: la Absool medica srl, Orbital High Tecnologies srl, Eon Medica srl, Bio-Cores rl, Kubik Medical srl, e 41 srl (il cui capitale sociale è ripartito tar Eon Medica, Best Patient, Life, Biomed Device, Flame). Gli investigatori hanno scoperto per esempio che la Best Patient è riferibile alla moglie di Romanò, mentre la Flame è riconducibile a Drago”. Tra il 2012 e il 2014 l’ospedale Pini avrebbe acquistato prodotti per 2 milioni e 861mila euro. “Il Pini è l’ospedale più facile del mondo … perché non ci sono gare, se sei amico di un chirurgo usi i prodotti che vuole, cioè è tutto libero, tutto libero!”. E infatti il nosocomio, secondo le indagini, garantisce mediamente il 59% dei ricavi ottenuti negli ultimi anni dal gruppo Brenicci. Dopo la presentazione di un esposto, in cui si denunciava che la spartizione di “soldi pubblici in modo clientelare, che dovrebbero servire invece per il bene della popolazione (…) le ditte fornitrici sono sempre le stesse ed i regali per alcuni primari e la direttrice sanitaria sono sempre più costosi”, e l’arresto di Confalonieri gli indagati era consapevoli che potevano essere intercettati e quindi le conversazioni – anche se ormai gli inquirenti ne avevano collezionato diverse auto-accusatorie – si sono esaurite. Ma “spenti i telefoni si sono moltiplicati gli incontri” scrive il giudice. Nell’inchiesta, tra l’altro, è indagato per corruzione anche un altro primario del Pini, Bruno Marelli, non arrestato.
Ai domiciliari la dirigente che doveva occuparsi del piano Anticorruzione
“Il Piano Anticorruzione verrà attuato al Pini al più presto” aveva detto Navone il 27 marzo 2017, nel corso della trasmissione televisiva “Porta a Porta”, dopo l’arresto di Confalonieri. “Abbiamo fornito alle autorità che ce l’hanno chiesta – aveva spiegato Navone, 60 anni, che è stata, tra le altre cose, anche responsabile del Noc (Nucleo operativo di controllo della Asl di Milano) – la lista di tutte le attività sugli impianti protesici, che fanno parte di un flusso di dati che è controllato”. Secondo quanto riporta il gip la figlia della dirigente avrebbe ottenuto uno stage post laurea in una delle società dell’imprenditore finito in carcere. Proprio Navone risulta protagonista di un altro filone investigativo sulla approvazione di un protocollo di intesa sulle infezioni dell’apparato osteoarticolare denominato Domino approvato dalla giunta lombarda. L’interesse degli indagati era quello di accreditare l’unità operativa di Calori come punto di riferimento regionale per “canalizzare” i pazienti verso il Pini. Un interesse mostrato anche da Romanò e Drago per il Galeazzi che avrebbero utilizzato prodotto il cui brevetto era riconducibile a Brenicci e di cui erano titolari. Un piano però che ha trovato grandissimi ostacoli, quello gli indagati definiscono “un nodo in Regione”, fino a quando il 13 marzo 2017 il Pirellone ha approvato il progetto.
Le pressioni e le manovre non riuscite sull’assessore Gallera
Proprio per portare a casa questo risultato gli indagati avevano cercato sostegno in Gustavo Cioppa (indagato per favoreggiamento e abuso d’ufficio), ex procuratore di Pavia e sottosegretario alla presidenza della giunta allora guidata da Roberto Maroni. Gli indagati chiedevano a Cioppa “di intercedere presso l’assessore al Welfare Giulio Galleria e al direttore generale, Giovanni Daverio, al fine di ottenere l’approvazione al progetto che accredita l’unità di Calori come polo regionale di riferimento per il trattamento delle infezioni articolari”. Cioppa,secondo il gip, si è “si è distinto per il suo concreto appoggio assicurato presso gli ambienti istituzionali regionali per favorire il progetto…”. E grazie a manovre e pressioni gli indagati sono riusciti a far partecipare Gallera a un convegno. Del resto la stessa Navone, intercettata, spiega che non è l’assessore a essere competente: “… Non può firmare Giulio (Gallera, ndr) assolutamente perché è un atto della direzione generale, è un atto congiunto tra le direzioni generali quindi non può prevaricare un ruolo”. Proprio la Navone contava molto sul progetto: “… Vedrai che però se si mettono a posto le cose sposterà begli aghetti in Regione... perché quando metteremo a posto le protesi… quando noi metteremo a posto quella roba lì…”
Il medico “interventista” con il mutuo da pagare
Secondo il giudice il medico maggiormente coinvolto è Calori, che stando alle indagini, nonostante stipendio e tangenti, aveva una situazione finanziaria precaria in seguito a un mutuo per una ristrutturazione da 600mila euro. Per questo motivo aveva chiesto 150mila euro in prestito all’imprenditore che invece al telefono intercettato dice che vorrebbe regalargliene solo 20-30mila. Un bisogno così forte di denaro che il medico, stando al racconto di due persone intercettate, avrebbe chiesto a un’anziana “morta di fame” 300 euro per una visita e 1200 euro per una consulenza e alla richiesta di poter pagare in due tranche il camice Calori avrebbe risposto alla “vecchietta”: “Allora la perizia la prossima volta gliela farò in due tempi”.
Le difficoltà di Calori spingevano il medico a essere più “intervenista” del necessario, secondo lo stesso collega Cucciniello, sottoponendo a intervento anche pazienti che non ne avevano bisogno proprio per poter guadagnare di più. Una “inclinazione anche conessa alla continua ricerca di guadagno” ragiona il giudice. “Un delinquente vero” la definizione usata dall’altro medico raccontando all’imprenditore che Calori avrebbe detto a un paziente privato che doveva assolutamente operarsi per evitare un’amputazione perché affetto da un’infezione inesistente. Ma dagli accertamenti non era emersa nessuna infezione che potesse giustificare l’operazione.
Un anestesista, ascoltato come testimone dagli investigatori, ha raccontato che Calori avrebbe voluto portare in sala operataoria un paziente con femore rotto e cardiopatico in assenza del cardiologo e quindi si era rifiutato, scatenando immediatamente la reazione furiosa del collega. Lo stesso Brenicci, che condivide con Calori la partecipazione a quattro società di diritto britannico, aveva un’opinione piuttosto bassa del chirurgo. Parlando con Cucciniello sbotta: “Che cazzo ti devo dire? Sinceramente però ti dico anche una cosa: che non è un mio amico… Che io conosco da trent’anni! Prende le stecche su quello che fa un altro“, e l’altro: “Una merda spaziale”.
“L’alleanza strategica” tra i medici
Per quanto riguarda le posizioni di Drago e Romanò il giudice ricorda in particolare la loro posizione di soci della società 41 srl e titolari del brevetto di dispositivo “microDDtect” contro le infezioni che avrebbero voluto promuovere all’interno del Galeazzi, ma non solo. In ballo c’era la centralizzazione delle procedure ospedaliere. Tra i progetti degli indagati c’era quello di creare un “unico centro regionale di diagnostica delle infezioni” presso il laboratorio del Galeazzi, di cui Drago era responsabile, per poter utilizzare con maggiore frequenza un sistema diagnostico brevettato. E per questo è “fondamentale il patto” con Calori che, chiosa il giudice, “forse avrebbero fatto a meno di stringere”. Romanò, intercettato a ristorante Dal Bolognese, dice a Brenicci: “Fare un po’ un’alleanza strategica su tante robe… quello che dicevo a Lorenzo (Drago, ndr) era proprio vedere se riusciamo a unire le casistische, ad avere tanti casi, e che poi, se tu pubblichi due centri, tre centri, le riviste su cui riesci a pubblicare ti guardano con un altro occhio, cioè se tu fai una pubblicazione un singolo centro hanno sempre il dubbio se i dati sono veri non sono veri, sono tre, quattrocento… sai cosa dovremmo anche fare, Giorgino, dico da un punto di vista operativo… eh, ma un patto si fa con le cose che facciamo inserire… ma io sono uno che si diverte a far le guerre a gratis…”.
Il gip: “Occorre reprimere corruzione in maniera drastica ed efficace”
Nell’ordinanza il giudice per motivare il provvedimento sottolinea come “l’illegalità, la corruzione, il malaffare che permeano interi settori della Pubblica amministrazione, rappresentano un fenomeno dilagante e del pari sommerso sicché quando si riesce faticosamente a individuare – prosegue il giudice – i singoli episodi criminosi, scoverchiando la coltre di legalità diffusa che salda i rapporti illeciti tra le parti, come riscontrato nel caso di specie, occorre reprimere siffatta forma di corruttela in maniera dastrica ed efficace”. Per gli indagati il magistrato sottolinea “un’allarmante disinvoltura nell’asservimento della funzione pubblica a piccoli e grandi vantaggi personali in totale dispregio per le istituzioni, perseverando nella erronea convinzione della sicura impunità”. Vantaggi che potevano anche significare concludere un business e andare in concessionaria a ordinare una Maserati Ghibli da 100mila euro.