Imputati due carabinieri e sei poliziotti per la morte dell'uomo avvenuta a Varese nel 2006. Tutti assolti in primo grado il 15 aprile 2016. Il sostituto pg Massimo Gaballo ha depositato una lista di testi che, a suo dire, dovrebbero essere sentiti nelle prossime udienze, anche se a decidere sull'eventuale riapertura del dibattimento dovranno essere i giudici
La Procura generale di Milano chiede di riaprire il processo, davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Milano, con al centro il caso di Giuseppe Uva, morto nel giugno 2008 a Varese, e che vede imputati due carabinieri e sei poliziotti, assolti in primo grado il 15 aprile 2016. Il sostituto pg Massimo Gaballo ha depositato una lista di testi che, a suo dire, dovrebbero essere sentiti nelle prossime udienze, anche se a decidere sull’eventuale riapertura del dibattimento dovranno essere i giudici. Il processo di secondo grado, subito rinviato al 9 maggio, è nato a seguito dell’impugnazione della sentenza di assoluzione, avanzata dalla Procura generale di Milano e dai legali delle parti civili, gli avvocati Fabio Ambrosetti, Alberto Zanzi e Fabio Matera. Tra i testimoni considerati ‘chiave’ dal pg c’è Alberto Bigioggero, l’uomo che dieci anni fa fu fermato insieme all’operaio dai carabinieri e in carcere dal febbraio 2017 con l’accusa di avere ucciso il padre con una coltellata.
In aula questa mattina erano presenti anche sei degli otto imputati: Paolo Righetto (difeso dall’avvocato Fabio Schembri) Pierfrancesco Colucci (difeso dal legale Piero Porciani) e Stefano Dal Bosco, Francesco Focarelli Barone, Bruno Belisario, Gioacchino Rubino (difesi dai legali Luca Marsico e Duilio Mancini). Assenti invece, perché impegnati in servizio, altri due imputati, gli agenti di polizia Vito Capuano e Luigi Empirio. Nella ricostruzione di inquirenti e investigatori, nella notte tra il 13 e il 14 giugno 2008 Giuseppe Uva e l’amico Bigioggero, entrambi ubriachi, furono fermati dai carabinieri perché stavano spostando delle transenne per chiudere al traffico una strada e furono portati in caserma. Nel corso della notte, Uva fu trasportato con trattamento sanitario obbligatorio all’ospedale di Circolo di Varese, dove morì la mattina successiva per arresto cardiaco, dovuto a una grave patologia di cui era affetto combinata con lo stress e altri fattori.
Come ha scritto il sostituto pg nell’atto d’appello, però, tra le concause della morte di Uva, ci fu lo stato di stress aumentato “dalle modeste lesioni personali riscontrate sul corpo della parte offesa”. Secondo Gaballo, quindi, anche le “mere condotte di costrizione fisica poste in essere dagli imputati (..) costituiscono l’elemento materiale del delitto di omicidio preterintenzionale“.
Nell’aprile 2016 la Corte d’Assise di Varese ha assolto gli imputati dalle accuse di omicidio preterintenzionale, di abuso di autorità su arrestato e abbandono di incapace, con la formula “perché il fatto non sussiste“. Ha riqualificato invece il reato di arresto illegale in sequestro di persona, assolvendo gli imputati. Sono state accolte, in sostanza, le richieste del procuratore di Varese Daniela Borgonovo che aveva chiesto l’assoluzione. Mentre la sorella di Giuseppe, Lucia Uva, ha sempre sottolineato che continuerà a “portare avanti la battaglia”.