La vedova di David Rossi, Antonella Tognazzi, e il giornalista del Fatto, Davide Vecchi non solo devono essere assolti ma non dovevano proprio essere processati. Il giudice Alessio Innocenti ha depositato le motivazioni per le quali il 15 gennaio scorso ha assolto con formula piena Vecchi e Tognazzi. Nelle 33 pagine più che spiegare i motivi della loro assoluta estraneità ai fatti, impartisce una lezione di diritto al magistrato Aldo Natalini che li ha indagati e trascinati sul banco degli imputati. Lezione delle basi del diritto: di quella Costituzione che qualunque cittadino dovrebbe conoscere a memoria, figurarsi un magistrato. Sin dalla prima pagina dell’analisi che svolge dell’accusa formulata dal pm, Innocenti scrive: “Il tribunale è giunto a ritenere insussistente già sotto il profilo oggettivo il reato contestato”. Poco più avanti: “Il tribunale non condivide il presupposto giuridico da cui muove l’ufficio del pm né i successivi passaggi del ragionamento”. E così fino alle conclusioni, nelle quali fra l’altro scrive che, proprio volendo indagare i due, sarebbero stati ipotizzabili altri reati ma “perseguibili solo su querela” di parte. Che non c’era: il processo è stato avviato d’ufficio dal pm e il reato contestato era l’unico che permetteva a Natalini di agire senza querela di parte nei confronti di un giornalista, quello di violazione della privacy. E il giudice sottolinea addirittura come persino il riferimento usato dal pm per impostare l’accusa fosse riferito a “un ambito civilistico amministrativo” e “non penale”. Innocenti, poi, ricorda più volte il quadro normativo scontato per chiunque operi nel settore e non solo: l’articolo 21 della Costituzione sul diritto all’informazione, l’art 10 della Convenzione europea dei diritti fondamentali dell’uomo, il codice deontologico dei giornalisti, le garanzie dei cronisti e lo stesso regolamento sulla privacy che garantisce il diritto di cronaca. Insomma: le leggi che tutelano la libertà di stampa. Che l’intero processo fosse un tentativo di limitare Vecchi nel suo lavoro era già stato denunciato da vari organismi internazionali, fra cui il più importante è il Grobal Freedom of Expression della Columbia university di New York. Se ne sono accorti anche a Siena: non c’erano neppure gli estremi per indagare Vecchi e Tognazzi. Ma allora perché è stata avviata l’inchiesta?
Il giudice ricorda un aspetto importante e cioè che non si può negare “il collegamento, quantomeno sotto il profilo probatorio, tra il presente processo e i procedimenti relativi alla morte del Rossi”. Ecco. Si torna all’inizio di tutto. Al 6 marzo 2013, quando il capo della comunicazione di Mps, David Rossi, viene trovato morto nel vicolo sotto la finestra del suo ufficio. Il fascicolo di indagine è affidato a Nicola Marini, pm di turno quella sera. Ma presto a lui si aggiunge Natalini. Dopo appena tre mesi, nel giugno 2013, si dicono pronti ad archiviare il caso come suicidio e restituiscono parte del materiale sequestrato tra cui telefoni e computer di Rossi ai familiari. Vecchi, come decine di altri colleghi, è a Siena perché in quel periodo sono in pieno svolgimento le indagini sulle sorti bancarie di Mps e ha rapporti quotidiani con i magistrati della procura. Natalini si occupa anche dei fascicoli relativi a Rocca Salimbeni. A inizio luglio 2013 firma due articoli per il Fatto Quotidiano nei quali riporta lo scambio di mail tra Rossi e Fabrizio Viola, all’epoca amministratore delegato della banca. Mail contenute negli atti dei magistrati. Tutte inviate il 4 marzo, due giorni prima di morire. Tra queste la più importante recita: “Stasera mi suicidio, sul serio. Aiutatemi!!!”. Nelle altre Rossi esprime la volontà di andare a parlare con i magistrati che poche settimane prima lo hanno perquisito – seppure lui non fosse indagato – perché ritenuto braccio destro di Giuseppe Mussari. Lo scambio di mail tra i due viene pubblicato sul Fatto i giorni 5 e 6 luglio. A seguito della pubblicazione, il 5 luglio Natalini indaga Antonella Tognazzi insieme ad altri che rimangono ignoti. Nei mesi e anni successivi la vedova Rossi andrà a bussare alla porta del pm per avere informazioni sull’inchiesta relativa al marito senza sapere che invece Natalini stava indagando su di lei.
E solamente nel 2015 il fascicolo viene chiuso: indagati sono lei e Vecchi con l’accusa di aver violato la privacy di Viola, seppure sia stato avvisato prima della pubblicazione. Ma tant’è. Secondo Natalini, la vedova avrebbe dato a Vecchi le mail per pubblicarle così da ricattare la banca e ottenere un risarcimento. Un’accusa più moralmente infamante che penalmente rilevante, in pratica: aver tentato di speculare sulla morte del marito. Eppure Tognazzi ha sempre e sin da subito rifiutato ogni proposta avanzata da Mps, persino quella di una assunzione a tempo indeterminato. Il processo si apre nel 2016. E nel frattempo a Siena arriva un pm nuovo, Andrea Boni, che riapre le indagini sulla morte di Rossi, archiviate come detto frettolosamente anni prima. Boni fa il suo lavoro ma pochi mesi dopo diventa procuratore capo a Urbino. I risultati delle sue indagini diventano pubbliche nell’ottobre 2018 con la pubblicazione di un libro di Vecchi dedicato alla vicenda (Il caso David Rossi, il suicidio imperfetto, Chiarelettere).
Ma più che le indagini svolte da Boni si comprendono le “non indagini” svolte da Natalini: il pm nell’agosto 2013, ad esempio, aveva disposto la distruzione di reperti fondamentali come sette fazzoletti sporchi di sangue trovati nell’ufficio di Rossi. Distrutti senza analizzarli e prima ancora di metterne a conoscenza le parti e soprattutto prima ancora che il caso fosse archiviato come suicidio: il Gip avrebbe potuto disporre un supplemento di indagini. Dalla pubblicazione del libro, inoltre, anche la trasmissione Le Iene ha iniziato a occuparsi della vicenda, sollevando molti altri dubbi sull’operato dei magistrati senesi tanto che il Csm ha aperto un fascicolo nei confronti di Natalini e la procura di Genova sta valutando l’ipotesi di abuso d’ufficio. Da ieri intanto il pm ha lasciato Siena e si è trasferito a Roma, negli uffici del massimario della Corte di Cassazione. Quanto scritto dal giudice Innocenti dunque spinge a chiedersi con maggior forza perché Natalini nel luglio 2013 invece di indagare sulle sorti del manager Mps, abbia preferito dedicare le sue energie a Vecchi e Tognazzi portandoli a processo? La vedova, insieme a tutti i familiari, invoca ancora la verità su David. Per lei si chiude un capitolo doloroso, un processo ingiusto. Con la beffa di aver dovuto dividere i suoi risparmi su due fronti. Da una parte per difendersi da un’accusa rivelatasi infondata e dall’altra nel lavoro che avrebbe dovuto svolgere proprio la procura: le indagini sulla morte di David Rossi.