Sono quarantamila i punti di rifornimento per veicoli a batteria, contro i 32 mila distributori tradizionali. Ma è guerra sui numeri, che comprenderebbero anche i wall-box installati nei garage privati. Comunque la si veda, è una svolta epocale
Spesso, quando si parla di mobilità elettrica, ci si scontra con i limiti della rete di approvvigionamento energetico: in buona sostanza, il numero dei distributori non è sufficiente per incentivare il passaggio alle auto a zero emissioni. Vero da noi, ma non in Giappone: nel paese del Sol Levante, infatti, il numero dei punti di ricarica per le EV è già superiore a quello dei tradizionali distributori di benzina. Per essere più precisi, 40 mila contro 32 mila.
Il dato sui distributori elettrici, comunque, è già oggetto di discordia: comprenderebbe, infatti, anche quelli privati installati nei garage. E c’è chi sostiene che andrebbe conteggiato il numero effettivo delle colonnine di ogni stazione di ricarica, relazionandolo a quello delle pompe di ogni benzinaio. Il senso di questa sfida numerica, comunque, non incide sul fatto fondamentale: in Giappone la rete di ricarica è già molto estesa e consente di approcciarsi concretamente alla mobilità a elettroni. Ciò sprona anche i costruttori a investire di più nell’elettrico, innescando una sorta di circolo virtuoso. Non a caso, Nissan ha annunciato che, entro il 2022, lancerà 8 nuovi modelli a batteria per raggiungere il target di un milione di elettriche vendute.
Il governo giapponese, dal canto suo, ha favorito e continuerà a promuovere l’espansione delle rete di ricarica nazionale: lo scopo ultimo è quello di avere un fitto network di supercharger su tutte le principali arterie del paese, in grado di rifornire in mezz’ora qualsiasi EV (e, in futuro, anche in tempi minori e senza cavo, usando la ricarica wireless). Presto le colonnine saranno obbligatorie anche nei parcheggi dei minimarket e negli stessi distributori di carburante convenzionali. Prove tecniche per il cambio di paradigma epocale.