Ancora arresti nella sanità lombarda, ancora accuse pesantissime contro medici e dirigenti sanitari. Un triste rituale che si ripete periodicamente e che in questi anni ha coinvolto tutti i ruoli istituzionali: presidente regionale, assessore alla Sanità, direttori generali, direttori sanitari, primari, medici oltre ovviamente imprenditori e politici loro amici.
Alcune cliniche milanesi sono diventate famose in tutta Italia e non sempre per meriti proprio scientifici: S. Rita, Maugeri solo per citarne alcune, senza dimenticarsi che, nell’ormai lontano 1992, l’inchiesta di Mani Pulite cominciò proprio con un arresto alla casa di cura Pio Albergo Trivulzio.
Non siamo di fronte ad un sistema sanitario che funziona in modo ottimale ed eventualmente a poche mele marce che delinquono, come afferma l’assessore regionale. E’ il sistema stesso, così com’è congegnato, che offre immense opportunità per chi vuole arricchirsi illegalmente sul corpo e sulla pelle dei propri concittadini.
La cura delle persone è stata trasformata in un grande business; la presenza delle strutture sanitarie private accreditate e quindi finanziate dalla Regione con soldi pubblici attraverso il sistema dei rimborsi è aumentata in modo vertiginoso soprattutto nei settori più redditizi: le chirurgie, l’alta specialità, le strutture per ricovero degli anziani ecc.
La torta da spartirsi è enorme. Giovanni Falcone diceva “seguite i soldi e troverete la mafia” e di soldi nella sanità ce ne sono veramente tanti. La spesa sanitaria in Lombardia supera i 18 miliardi, pari ad oltre il 70% del bilancio regionale. Era ampiamente prevedibile che pratiche illegali si sarebbero concentrate in questo settore ed è inaccettabile che dentro l’istituzione pubblica (quando non è collusa con chi delinque!) poco o nulla sia stato fatto per contrastare tale possibilità.
Alcuni semplici esempi.
Nell’epoca digitale e delle banche dati, è mai possibile che la Lombardia non abbia costruito un osservatorio per identificare i macroscopici conflitti d’interesse presenti nel mondo sanitario? Oggi si scoprono primari che direttamente, o attraverso propri familiari, sarebbero azionisti di aziende che producono strumenti diagnostici e protesi e si scopre che “casualmente” gli ospedali, ove costoro operano, indirizzano le ordinazioni verso queste stesse società. Sarebbe stato sufficiente intrecciare qualche dato per far scattare un’attenzione particolare su determinati acquisti; andrebbe resa obbligatoria una dichiarazione pubblica sulle relazioni e gli interessi economici e finanziari dei medici e dei dirigenti del Servizio Sanitario.
Basterebbe incrociare i dati relativi ad alcune pratiche diagnostiche e ad alcuni interventi chirurgici (quelle con i rimborsi più elevati) realizzati nelle strutture private accreditate con quelle realizzati nelle corrispondenti strutture pubbliche per far sorgere il sospetto che non tutte le operazioni fossero necessarie; si sarebbero evitate amputazioni e trapianti finalizzati solo a produrre guadagni per singoli professionisti e per le strutture dove questi operano, verso le quali andrebbe immediatamente annullato l’accreditamento concesso dalla Regione.
Non basta avere i Nuclei Operativi di Controllo alle dipendenze delle Asl; è necessario metterli in condizione di svolgere efficacemente il proprio lavoro: non avvisare in anticipo la clinica interessata dell’imminente ispezione; non concentrare l’attenzione su aspetti puramente formali quanto piuttosto sull’appropriatezza degli interventi chirurgici e della prestazioni diagnostiche erogate.
Non è sufficiente mettere sul proprio sito web “Il piano anticorruzione” se poi nessuna autorità indipendente ne verifica la realizzazione spulciando, ad esempio, i vari contratti d’acquisto.
Sarebbero necessari anche interventi a livello nazionale. Ad esempio per interrompere la catena di nomine politiche che costruisce in ogni regione la piramide della sanità: i direttori generali sono nominati dalla regione, primari non si diventa più per concorso con relativi punteggi, ma si acquisisce l’idoneità al primariato attraverso un bando basato sui titoli e su un colloquio; poi è la direzione della struttura sanitaria a compiere la scelta definitiva. E spesso non è la competenza scientifica a prevalere ma una vicinanza che può trasformarsi in complicità.
“Non vedo, non sento, non parlo”, il motto delle famose tre scimmiette, pare essere diventato, con i tempi coniugati al passato, il mantra dei direttori generali, dei direttori sanitari e degli assessori alla sanità regionale ogni volta che la magistratura fa scattare qualche arresto. Tutte le inchieste che si sono susseguite non sono centrate su singoli isolati reati, ma su sistemi delinquenziali complessi con una molteplicità di attori, sistemi che difficilmente possono sfuggire a chi dovrebbe vigilare. Sarebbe quindi lecito aspettarsi, e chiedere, le dimissioni almeno dei direttori generali degli ospedali coinvolti e una verifica di idoneità alla mansione per i funzionari regionali addetti alla direzione dei sistemi di controllo.
Un’ultima enorme preoccupazione.
Come ho avuto modo di scrivere più volte su questo blog la Regione Lombardia sta cercando di convincere i cittadini lombardi con malattie croniche, 3 milioni e 350.00 persone, ad affidare la cura di tali patologie ad un “gestore” che nel 70% dei casi è una società privata che opererebbe con soldi pubblici. Essendo enti profit è legittimo pensare che il loro obiettivo più che la salute sarà il profitto. Alla voracità non c’è limite e la torta è immensa (la spesa sanitaria per i malati cronici in Lombardia supera i 10 miliardi).
O li fermiamo ora o ben poco rimarrà del tanto decantato sistema sanitario lombardo.