Il giorno dopo l’agguato in cui è morto suo figlio Matteo Vinci, la signora Rosaria Scarpulla è sola in casa. A Limbadi, nel Vibonese: paese piccolo in cui è successo un fatto troppo grande. Un 42enne ex rappresentante di medicinali ucciso da una bomba nascosta nella sua auto. Come un boss, lui che un boss non era. Dai Vinci nessun parente, nessun amico, nessuna istituzione ha fatto una telefonata per esprimere le condoglianze a una madre a cui hanno ammazzato il figlio. Con lei solo Laura, la fidanzata di Matteo, un’argentina di origini calabresi che da pochi mesi aveva raggiunto il suo uomo a Limbadi. “Mio figlio era un ragazzo meraviglioso, ubbidiente. Era il mio unico figlio. Sono sicura che sono stati i Mancuso ad ucciderlo”. Rosaria è una “mamma coraggio”. Non si spaventa a fare nomi e cognomi in una terra dove la parola Mancuso è impronunciabile. “Per me erano meno di zero – dice – Oggi ancor di più, ma io devo vivere e combattere per mio figlio. Sono sicura che sono stati loro. Non abbiamo mai avuto nemici in 50 anni”. La donna collega l’attentato ai problemi di vicinato con Rosaria Mancuso e la sua famiglia: “È dal 1993 che sono iniziati questi soprusi. Volevano la nostra terra. Io e mio marito eravamo lì soli. Non lo reputo coraggio il nostro. Ma è difesa dei nostri diritti”. Nel 2014 i carabinieri sono intervenuti nel loro terreno e hanno arrestato tutti: “Loro dicono che era una rissa, ma io vi dico che abbiamo subito un agguato. Ci hanno assalito. Ci hanno massacrati e ci hanno arrestati. Noi eravamo in gabbia, loro erano seduti sul banco che ci guardavano con alterigia. Ecco perché loro vanno avanti. Noi chiediamo giustizia per Matteo, che il suo ricordo rimanga vivo e che non sia successo invano. La nostra vita continuerà com’era. Non possiamo abbandonare. Non finirà e sappiamo pure che andrà male. I Mancuso non sono nessuno. Sono gente ignorante. Li reputo niente. Non li paragono agli animali perché gli animali hanno l’istinto. Se quel pezzo di terra è mio, è mio. Vogliamo difendere la nostra proprietà fino alla fine”. Hanno voluto dare l’esempio agli altri? “Può darsi – risponde Rosaria Scarpulla – però poveri questi altri che si piegano. Saranno sempre schiavizzati“.
L’AVVOCATO DELLA FAMIGLIA: “FUNERALI DI STATO PER MATTEO” – Angherie e soprusi che, carte alla mano, conferma anche l’avvocato della famiglia Vinci, Giuseppe De Pace. Per l’ex rappresentate di medicinali De Pace ha chiesto al presidente della Repubblica e al ministro dell’Interno i funerali di Stato. “L’autobomba non è un fatto di cronaca. È un fatto terroristico-mafioso. Un attentato alla collettività generale, del carattere e della portata più pesante di quanto non siano state le stragi di mafia degli ultimi decenni”. I Vinci sono una famiglia “massacrata dalla violenza mafiosa, una semplice famiglia di modesti lavoratori che cercava, aggrappandosi alla giustizia, di difendere i propri pochi beni dalla famelica aggressività mafiosa”. Per l’avvocato De Pace, la morte di Matteo può essere paragonata a quella di Libero Grassi. “Ho conosciuto la famiglia Vinci in occasione dell’udienza per direttissima in seguito a quella che è stata derubricata come rissa – racconta il legale – Ho potuto seguire la vicenda e mi è venuto il voltastomaco per come i carabinieri hanno trattato questi Mancuso”. Abbandonati dalle istituzioni in una terra dove lo Stato sono i Mancuso. È questa, in sostanza, la lettura dell’avvocato De Pace: “Un atteggiamento di servilismo schifoso. Durante le testimonianze dei carabinieri cercavano di smussare le responsabilità dei Mancuso e aggravare quella dei Vinci. La realtà era ben diversa. La signora aveva il volto tumefatto, gli occhi gonfi e la testa rotta. Mi sono detto subito: questi tre pellegrini si mettono a fare risse con i Mancuso? Ma che stanno raccontando? La realtà è che sono stati aggrediti dai Mancuso che, per quella vicenda, hanno patteggiato 4 mesi mentre i miei assistiti hanno scelto il processo ed è ancora in corso. Non c’è stata nessuna rissa, ma un agguato premeditato e organizzato. Lo dimostreremo senza grandi problemi”. “Questa gente si è appropriata di terreni che appartenevano a una parente dei Vinci. Volevano anche i loro campi e per questo hanno subito angherie – aggiunge l’avvocato De Pace – I miei assistiti hanno sempre denunciato queste aggressioni. Pensi che gli hanno incendiato un magazzino dietro la loro abitazione e non è stato fatto nulla nonostante i vigili del fuoco abbiano rilevato che è stato doloso. Ho scritto al prefetto e ai carabinieri ma dopo pochi giorni arriva l’ingiunzione al signor Vinci per rimuovere le macerie che erano corpo di reato. Non hanno mai fatto niente”.
IL 30 OTTOBRE SCORSO IL TENTATO OMICIDIO DEL PADRE – Pochi mesi fa, si è verificato l’episodio più grave. Il 30 ottobre, infatti, Francesco Vinci (il marito della signora Scarpulla) è stato aggredito dai Mancuso a viso scoperto e con una pistola in mano. “Vinci è stato massacrato, – spiega l’avvocato – gli hanno rotto la mandibola. È finito in terapia intensiva ma prima di svenire ha chiamato la moglie che ha avvertito i carabinieri. A questi abbiamo riferito i nomi degli aggressori. Dicono che stanno facendo le indagini, i Mancuso sono stati interrogati ma non sono mai stati arrestati. Ho dovuto segnalare al Comando provinciale il comportamento anomalo dei carabinieri di Limbadi e qualche trasferimento c’è stato”. Nella sua ricostruzione, che conferma in pieno lo sfogo di Rosaria Scarpulla, l’avvocato De Pace fornisce anche qualche indicazione che potrebbe essere utile alle indagini sull’autobomba: “In una recente udienza in uno dei tanti procedimenti civili che vede contrapposta la famiglia Vinci ai Mancuso per la questione dei terreni, un testimone ha reso una dichiarazione falsa a favore dei parenti dei boss. Poi, durante l’interrogatorio, è ritornato sui suoi passi e ha detto la verità. Secondo me è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso perché hanno constatato con mano che non hanno più quella capacità di condizionamento che negli anni gli ha consentito di gestire questa vicenda”. “Sono in tanti ad avere sulla coscienza Matteo Vinci – conclude l’avvocato – La signora Scarpulla e suo marito si erano anche incatenati al Comune per chiedere i loro diritti. Stavano protestando perché i Mancuso sversavano i liquami nel loro terreno. Ci hanno risposto che sarebbero intervenuti ma quando l’hanno fatto sono andati sul campo dei Vinci. Nei mesi scorsi ho segnalato alla prefettura il comportamento anomalo del Comune. Stiamo ancora aspettando”.
IL PROCURATORE GRATTERI: “CE LA METTEREMO TUTTA” – “Ce la metteremo tutta per risolvere il caso il prima possibile”. Il Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri non parla delle indagini. È abbottonatissimo. L’inchiesta potrebbe arrivare presto a una svolta e a chi gli chiede almeno un commento sul perché le cosche di Limbadi abbiano scelto un attentato “in grande stile” per ammazzare un quasi incensurato, il magistrato risponde: “Hanno calcolato l’impatto che un’autobomba avrebbe avuto sull’opinione pubblica. Ma dal mio punto di vista ha fatto un errore”. Che l’aria sia cambiata per la ‘ndrangheta e che ci sia particolare attenzione per chi ha la forza di ribellarsi alle cosche, lo si percepisce dalle parole di Gratteri: “Vibo è una provincia ad altissima densità mafiosa con una ‘ndrangheta di serie A come quella di Crotone. Con un’operazione, pochi giorni fa abbiamo sventato un paio di omicidi. Per questo ho potenziato i magistrati che si stanno dedicando a quelle cosche. Adesso ci sono tre pm che indagano sui Mancuso. Al momento non faccio ipotesi sull’autobomba”. Intanto, il tribunale di Vibo Valentia ha convalidato l’arresto per detenzione illegale di armi di Domenico Di Grillo, il marito di Rosaria Mancuso parente dei boss di Limbadi. Nel corso di una perquisizione, eseguita dai carabinieri poche ore dopo l’attentato, all’uomo è stato trovato un fucile detenuto illegalmente. Adesso si trova ai domiciliari. Sulla famiglia di Rosa Mancuso punta il dito Rosaria Scarpulla che lunedì ha visto il figlio Matteo Vinci fatto a brandelli e il marito Francesco sfigurato dalle fiamme.
LE INDAGINI PROSEGUONO – Nel frattempo, l’attività investigativa sull’attentato va avanti. È stata eseguita l’autopsia sul corpo di Matteo Vinci, l’ex rappresentante di medicinali, ucciso lunedì pomeriggio a Limbadi con un’auto imbottita di tritolo che ha ferito anche suo padre, Francesco, ricoverato adesso all’ospedale di Palermo con ustioni gravi che hanno interessato almeno il 20% del corpo. Il medico legale Katiuscia Bisogni ha chiesto che la salma sia tenuta a disposizione per 30 giorni per poter fare altri accertamenti. Le indagini sull’autobomba continuano senza sosta. Da ambienti investigativi trapela che per far saltare in aria la Ford Fiesta di Matteo Vinci è stato utilizzato tritolo collegato probabilmente a un timer o a un telecomando che a distanza ha provocato la deflagrazione. Un metodo che di solito si riserva ai boss e che la ‘ndrangheta ha utilizzato solo in rarissime occasioni. Non essendo Matteo Vinci un boss, il convincimento degli inquirenti è che quel tritolo sia servito a mandare un messaggio alla comunità di Limbadi, regno della cosca Mancuso, per far capire la fine che fa chi non piega la testa. Un messaggio anche alla Dda di Catanzaro che, negli ultimi mesi, con le sue operazioni e i numerosi arresti sta mettendo in ginocchio le famiglie mafiose del vibonese.