Sembra avere un certo interesse tra i blogger di questo giornale la questione della natura “di sinistra” del Movimento 5 stelle o del Partito democratico e sembra di capire che i valori dei blogger siano più o meno i seguenti: sinistra= buono; M5s= buono, quindi di sinistra; Pd= cattivo, quindi non di sinistra. La definizione della politica di sinistra è in genere lasciata all’immaginazione del blogger o del lettore, con risultati contraddittori; e all’apparenza quasi nessuno è in grado di superare definizioni elementari, del tipo sinistra= interessi del popolo/dei poveri, etc.
Ovviamente sinistra ha significato nel passato molte cose, né tutte coerenti tra loro né tutte buone, da Karl Marx e Antonio Gramsci a Iosif Stalin e alla repressione sovietica in Ungheria nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968. Anche limitandosi all’Italia, il Pci di Palmiro Togliatti, che approvava i fatti d’Ungheria, era molto diverso dal Pci di Enrico Berlinguer, che criticava la repressione di Praga.
Consegue che non è facile identificare una ideologia politica di sinistra separando nella storia della sinistra il grano dal loglio e distinguendola dalla destra sociale, dal qualunquismo e dal populismo. In pratica parlare di sinistra oggi significa tentare una riformulazione ideologica: un compito che farebbe tremare le vene e i polsi a Gramsci, ma che molti blogger e commentatori affrontano con squisita disinvoltura. Di certo non sarò io a tentare una impresa simile; però almeno un tentativo di ricordare le basi ideologiche della sinistra sembra opportuno.
Un concetto fondamentale dell’ideologia marxista e gramsciana è quello della classe sociale (la “struttura”) e della contrapposizione tra le classi. Una politica di sinistra è prima di tutto politica di classe che assume che non sia possibile fare l’interesse individuale del cittadino: l’interesse è della classe sociale e l’individuo ne beneficia in quanto membro della classe.
La destra sociale, figlia della politica mussoliniana, ha affinità con questa visione, ma identifica il cittadino come membro di uno Stato anziché di una classe e protegge il cittadino perché dà figli alla patria e contribuisce agli “8 milioni di baionette”.
Consegue che, a una lettura superficiale, la destra sociale e la sinistra promettono all’individuo cose simili, tanto più oggi che i programmi dei partiti si assomigliano tutti.
Ma la classe e lo Stato sono due gruppi molto diversi tra loro. Se si guarda alla composizione del gettito Irpef dello stato si osserva che: “il 45% dei contribuenti, che dichiara solo il 4,2% dell’Irpef totale, si colloca nella classe fino a 15mila euro; in quella tra i 15mila e i 50mila euro si posiziona il 50% dei contribuenti, che dichiara il 57% dell’Irpef totale, mentre solo il 5,3% dei contribuenti dichiara più di 50mila euro, versando il 39% dell’Irpef totale”.
Il ministero dell’Economia e delle Finanze in pratica identifica tre grandi gruppi sociali, ciascuno corrispondente a più classi nel senso marxista, cosa che di per sé mette in dubbio la serietà dell’impostazione logica della destra sociale: perché è evidente che un beneficio concesso a quel 45% di contribuenti che versa il 4,2% dell’Irpef non può che essere messo a carico del rimanente 55%, ovvero è evidente che gli interessi di classe sono contrapposti e che si scontrano all’interno dell’interesse generale dello Stato. Esistono ovviamente redditi dello Stato non derivanti dall’Irpef; ma tirare in ballo questi significa solo gettare fumo negli occhi, perché anche i redditi non Irpef vengono dai contribuenti ed è soltanto più difficile attribuirli a qualche gruppo in particolare.
Se si valutano i programmi dei partiti in questa ottica si osserva che nessun partito si richiama esplicitamente a principi di destra sociale e nessuno a principi di sinistra: i primi perché ingenui anche per l’elettore più sprovveduto, i secondi perché controproducenti dal punto di vista elettorale (ad esempio il M5s dovrebbe scrivere chiaro e tondo che il 55% dei cittadini deve tirar fuori i soldi del reddito di cittadinanza).
Silvio Berlusconi aveva a suo tempo sintetizzato il concetto dicendo che la sinistra è il partito delle tasse. Si era scordato di dire che la destra è il partito dell’imbroglio e del non detto.
Oggi apparentemente tutti i partiti – soprattutto M5s, Lega e Forza Italia – praticano l’arte populista del non detto e promettono diritti senza spiegare esplicitamente chi pagherà: a volte si pagherà a debito, altre volte acchiappando gli evasori fiscali, altre volte ancora facendo pagare le banche o l’Europa. Invece sarebbe di sinistra dire che le risorse dello Stato sono quelle e che la necessità sociale è quella di ridistribuirle almeno parzialmente: fare cultura politica significa cercare la consapevolezza dei cittadini.