Società

Torino, cosa deve fare Appendino per recuperare parco Michelotti? Nulla

Ricordo vagamente che quando ero bambino i miei mi portarono a vedere lo zoo di Torino, nel parco Michelotti. Immagino perché venimmo a Torino a visitare i nostri parenti (i Balocco) già di Monesiglio, Alta Langa. Della visita non ricordo nulla se non qualche povero serpente. Nel 1981, a Torino mi ci trasferii, ma allo zoo non ci andai più. Mi tengo lontano da tutto ciò che mi procura dolore.

Nel 1987 lo zoo fu chiuso. Poi, tra il 1994 e il 1996 il comune investì (gettò al vento) un miliardo e 200 milioni di lire per aprire il parco Giò – un’area attrezzata a giochi (se ne sentiva il bisogno?) a margine del parco -, rifare la rete idrica e fognaria, sistemare l’impianto di illuminazione, piantumare e attrezzare le aree verdi, collocare fontanelle, mettere in sicurezza la vegetazione e le alberate esistenti.

Sempre nel 1996, il parco Michelotti fu riaperto al pubblico, ospitò la mostra Experimenta – che fu rinnovata fino al 2005 – unitamente ad altre iniziative tematiche ed espositive legate all’ambiente fluviale.

Dal 2005 più nulla, se non cercare di mettere a reddito l’area, cedendola allo Zoom di Cumiana, uno zoo vicino a Pinerolo. Operazione fallita sotto la presente giunta: lo Zoom di Cumiana ha ritenuto troppo onerosa l’operazione di riportare lo zoo a Torino e si è ritirato in buon ordine il 29 novembre 2017. Oggi vige un’ordinanza sindacale che vieta di entrare all’interno del Parco e se lo si fa si commette il reato di cui all’articolo 650 del codice penale.

Dunque, ora, che fare? L’assessore all’Ambiente, Alberto Unia ha chiarito alla popolazione che i soldi sono pochi ma che il parco deve rimanere pubblico e ha invitato tutti quelli che hanno delle idee per la riqualificazione dell’area a inviarle agli uffici dell’assessorato. Da quando il Comune ha chiesto la collaborazione dei cittadini, gli stessi – più o meno organizzati – hanno proposto i più svariati progetti, quasi tutti (ovviamente) in inglese: parchi avventura (tree climbing), piste di pump track, orti urbani e food lab.

Bene. Io, che – come saggiamente diceva Danny Glover in Arma letale – “sono troppo vecchio per queste stronzate”, invece, mi permetto di fare una semplice ed economicissima proposta: non fare nulla.

O meglio, propongo questo: chiudere l’area in modo che solo gli autorizzati possano entrarci, eliminare i rifiuti accumulatisi negli anni, mettere in sicurezza tutte le strutture che sono a rischio crollo, eliminare il cemento dove esso è stato stupidamente posato nei decenni scorsi, mantenere dei percorsi pedonali all’interno – che già esistono – vietando di uscire dagli stessi.

E poi stop. Lasciare che la vegetazione faccia il suo corso, che si riprenda tutto, manufatti compresi. Si creeranno dei percorsi didattici, si potranno portare scolaresche ad ammirare come la natura sia più forte dell’uomo, come si riprenda tutto nel giro di poco tempo. Un esempio del tipo Terzo paesaggio di Gilles Clément. Un’operazione alla Jardin sauvage di Parigi.

Una proposta economica e istruttiva.  Adatta a instillare l’abbandono della visione antropocentrica nelle giovani generazioni. E basta con i democraticissimi percorsi partecipati! Dopo che così tanti boschi in città sono stati sacrificati in questi decenni sull’altare del cemento, per una volta la giunta comunale decida di imperio che la natura faccia il suo corso.