Il Tribunale Civile di Roma ha condannato il ministero dell’Interno a risarcire la famiglia di Diouf Cheikh, un cittadino senegalese residente a Civitavecchia (Roma) che il 31 gennaio 2009 è stato ucciso con due colpi di fucile da Salvatore Morra, ispettore di polizia. Questo perché sono emerse, in sede processuale, disattenzioni, negligenze e omissioni palesi da parte del Viminale nella gestione dell’ispettore Morra, affetto da problemi psichici rilevanti sottovalutati dall’amministrazione, negli anni precedenti l’omicidio. Ammonta a 600 mila euro l’importo che, stando alla sentenza emessa lo scorso 5 aprile, il ministero dovrà corrispondere alle due mogli di Diouf (con cui aveva una relazione poligamica secondo il rito islamico) alla madre e ai suoi sei figli.
Le negligenze del Viminale
Dal fascicolo personale di Salvatore Morra, depositato agli atti del processo, sono emersi una serie di precedenti di rilievo disciplinare e medico a suo carico che avrebbero dovuto indurre l’amministrazione a ben altra cautela nel disporre l’autorizzazione all’uso delle armi e che anzi avrebbero dovuto portare all’allontanamento dal servizio dell’ispettore. Il poliziotto, nel corso degli anni, è stato sospeso temporaneamente dal servizio varie volte, in relazione a procedimenti penali in cui era coinvolto e a diversi episodi di rilievo psichiatrico, riconducibili a “nevrosi ansiosa”. Nel 2007, in particolare, Morra era stato denunciato dalla figlia per minaccia a mano armata e lesioni. E, ironia della sorte, l’arma in questione era lo stesso fucile con cui poi ha ucciso Diouf nel 2009. Il Ministero aveva dunque gravemente sottovalutato le condizioni di salute e i precedenti penali e disciplinari del suo dipendente. La stessa commissione medica ospedaliera – l’organo consultivo di cui l’amministrazione si avvale per verificare le condizioni di salute e l’idoneità al servizio degli appartenenti alle forze dell’ordine – non risulta aver condotto test o indagini accurate che avrebbero evidenziato l’incompatibilità tra la patologia psichiatrica di Morra e la sua appartenenza al corpo di polizia e all’uso delle armi.
“Abbiamo anche scoperto – spiega Luca Santini di Progetto Diritti, uno dei due legali dei familiari di Diouf – che, pochi mesi prima dell’omicidio, era stato emesso un provvedimento di ritiro dell’arma del delitto dall’ufficio porto d’armi della Questura di Roma ma poi nessuno ha dato seguito a tale disposizione”.
In considerazione di tutti questi elementi, il Tribunale civile di Roma ha riconosciuto, come richiesto dai legali dei familiari, una responsabilità del ministero dell’Interno per aver concorso con la propria condotta omissiva alla commissione del delitto “dal momento che appare logico ritenere – sostiene il giudice- che il mantenimento del possesso di un’arma da fuoco in capo a un soggetto affetto da ripetute e persistenti forme di patologia psichica abbia come suo possibile sviluppo logico prevedibile l’uso dell’arma medesima contro la persona altrui”.
“In questa triste vicenda – prosegue Santini – le responsabilità del Viminale sono evidenti. Per questo motivo chiediamo e speriamo che riconosca formalmente e definitivamente la proprie colpe per l’accaduto senza interporre appello. Da quasi dieci anni i familiari e i figli di Diouf attendono giustizia, e questa è l’occasione per un gesto di riparazione da troppo tempo atteso”.
Il 31 gennaio del 2009 Diouf Cheikh veniva ucciso con due colpi d’arma da fuoco dal vicino di casa Salvatore Morra, detto Paolo, ispettore della polizia. Secondo la ricostruzione accertata in sede processuale, la mattina in cui si consumò il delitto, il poliziotto si era introdotto nel cortile dell’abitazione di Diouf armato di un fucile da caccia. Mentre la vittima gli si faceva incontro aveva sparato due colpi in rapida successione ferendolo alla gamba e causandogli la recisione dell’arteria femorale e la successiva morte per dissanguamento. Come emerso dalle indagini, Morra mal sopportava la vicinanza dello straniero e di altri senegalesi che occupavano una villetta vicino la sua. Diouf lasciava sei figli, all’epoca tutti minorenni, avuti dalle due mogli (con cui aveva una relazione poligamica secondo il rito islamico) e la madre. I suoi familiari vivevano insieme in Senegal e Diouf li andava a trovare ogni anno nei mesi invernali.
In primo grado l’ispettore Morra è stato condannato per omicidio volontario a 10 anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. In sede di appello, con sentenza del giugno 2011, il reato è stato derubricato a omicidio preterintenzionale (6 anni), ritenendo il giudice che se Morra avesse voluto coscientemente sopprimere la vita del povero Diouf, non avrebbe dovuto far altro che alzare di pochi centimetri l’arma che imbracciava invece di sparare alle gambe. Inoltre, nel corso del procedimento, è emerso il giudizio di seminfermità mentale dell’omicida dal momento che la perizia psichiatrica ha riconosciuto l’imputato affetto da un grave disturbo di personalità (personalità mista del gruppo B con notevoli caratteristiche borderline, narcisistiche, istrioniche e antisociali). Purtroppo ci si è accorti troppo tardi dei gravi problemi psichici dell’ispettore di polizia.