I reati ipotizzati nell’inchiesta sono: inquinamento ambientale, falsità ideologica, smaltimento illecito di rifiuti e traffico illecito di rifiuti. Ma lo smantellamento del sito potrà proseguire. L’impianto di Rotondella è gestito dalla Sogin e il sequestro riguarda anche l’impianto "ex Magnox", che si trova nella stessa area
Per evitare che continui lo scarico nel mare Jonio di acqua contaminata proveniente dall’impianto nucleare Itrec di Rotondella (Matera), la Procura della Repubblica di Potenza ha fatto eseguire stamani il sequestro di tre vasche di raccolta delle acque di falda e della condotta di scarico.
I reati ipotizzati nell’inchiesta sono: inquinamento ambientale, falsità ideologica, smaltimento illecito di rifiuti e traffico illecito di rifiuti. Ma lo smantellamento del sito potrà proseguire. L’impianto di Rotondella è gestito dalla Sogin e il sequestro riguarda anche l’impianto “ex Magnox”, che si trova nella stessa area. Le indagini sono cominciate dal “grave stato di inquinamento ambientale causato da sostanze chimiche” – cromo esavalente e tricloroetilene, che sono cancerogene – in cui si trova la falda acquifera sottostante il sito nucleare. Le sostenze sono usate per il riprocessamento di barre di uranio-torio. Nell’impianto sono custodite dagli anni Sessanta 64 barre di uranio provenienti da Elk River (Stati Uniti): il sito è in fase di decommissioning, ma il sequestro “non bloccherà queste attività”.
Secondo le risultate dell’inchiesta, l’acqua contaminata “non veniva in alcun modo trattata”: attraverso una condotta, “dopo aver percorso alcuni chilometri, si immettevano direttamente nel mare Jonio“. Di conseguenza, “in via d’urgenza” la Procura distrettuale di Potenza ha disposto il sequestro, eseguito dai Carabinieri del Noe. Lo smantellamento dell’Itrec “obbligherà” comunque “i responsabili dei siti – sotto la diretta vigilanza della Procura della Repubblica di Potenza – ad adottare le indispensabili misure a tutela dell’ambiente e della salute pubbliche che fino ad oggi non erano state prese”.
Sono almeno cinque le persone indagate secondo l’Ansa: si tratterebbe dei referenti dei procedimenti di controllo e smaltimento delle acque. L’indagine è cominciata lo scorso anno da parte della Procura di Matera, i fascicoli sono poi passati per competenza alla Procura distrettuale del capoluogo lucano. Le sostanze chimiche scoperte dagli investigatori nella falda acquifera sono state utilizzate per il trattamento delle barre di uranio/torio: le acque così contaminate dovevano essere poi trattate prima di essere smaltite ma, secondo quanto emerso dalle indagini, sono state invece sversate “tal quale” nel mar Jonio partendo dalla struttura, e dopo aver attraversato alcuni chilometri che separano lo stabilimento dalla costa.
L’indagine, condotta dai Carabinieri del Noe, parte dall’accertamento della presenza di due sostanze cancerogene (usate in passato per il trattamento delle barre) in una falda acquifera che, attraverso una condotta, arriva al mar Jonio, ma la Sogin afferma che non c’è “nessuna anomalia radiologica all’interno dell’impianto”. La Sogin, in una nota, ha inoltre precisato che “gli scarichi delle acque sono effettuati in conformità con la formula di scarico” e che “non vi è alcun pericolo per i lavoratori, la popolazione e l’ambiente”.
È stato disposto anche il sequestro d’urgenza dell’impianto “ex Magnox”, nei pressi dell’Itrec: l’obiettivo è di evitare che continuasse lo sversamento in mare di acque che, per i pm, avrebbero invece bisogno di un particolare trattamento prima di essere smaltite, per la presenza di cromo esavalente e tricloroetilene. La contaminazione della falda sarebbe avvenuta proprio sotto l’impianto “ex Magnox”, che però è in disuso da oltre 20 anni. La stessa falda attraversa poi l’Itrec, in particolare nell’area sottostante una “piscina” utilizzata per lo stoccaggio del materiale presente nella struttura: quest’acqua viene in parte estratta per evitare il contatto tra la falda e la piscina stessa, e quindi stoccata nelle vasche sequestrate. Attraverso una condotta di scarico, l’acqua finisce quindi nello Jonio.
La presenza delle sostanze cancerogene nelle acque sarebbe stata nota da tempo: cromo esavalente e tricloroetilene, in base alla ricostruzione degli investigatori, sarebbero stati utilizzati per il trattamento delle barre di uranio, anche se il sito è in fase di decommissioning da parte della Sogin: per questo motivo il sequestro “non bloccherà in alcun modo l’attività di decommissioning del sito nucleare”, ma i responsabili delle strutture, “sotto la vigilanza” della Procura, sono “obbligati ad adottare le misure indispensabili a tutelare l’ambiente e la salute dei cittadini”. Misure che, secondo i pm, “fino a oggi non erano state prese”. L’assessore lucano all’ambiente, Francesco Pietrantuono, ha precisato che “i procedimenti non sono in capo” alla Regione Basilicata, ma è stata messa in campo “ogni azione utile per garantire con responsabilità la tutela della salute, dell’ambiente e delle attività economiche dell’area”.
(Foto di archivio)