Due anni fa l’annuncio: “Scoperta un’altra Terra potenzialmente abitabile”. Ma per chi sperava di trovare prove di vita al di fuori del nostro pianeta, la mega-eruzione che si è verificata nel marzo 2016 su Proxima Centauri, la stella più vicina a noi al di fuori del sistema solare, è stata certamente una battuta d’arresto. L’esplosione ha sconvolto Proxima b, il pianeta che ruota attorno a Proxima Centauri, rendendo praticamente impossibile la sopravvivenza di eventuali forme di vita, ipotesi che gli studiosi ritenevano plausibile, vista la presenza di acqua liquida. La notizia dell’eruzione è in uno studio apparso recentemente online e intitolato “The First Naked-Eye Superflare Detected from Proxima Centauri”, frutto del lavoro di un gruppo di Università internazionali e del Goddard Space Flight Center della Nasa.
Proxima Centauri fa parte del sistema di tre stelle Alpha Centauri e dista da noi solo 4,2 anni luce. Durante il brillamento, la sua luminosità è aumentata di sette volte, tanto che sarebbe stato possibile vedere il fenomeno anche ad occhio nudo. “Quando si verificano queste eruzioni – spiega Riccardo Claudi, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) di Padova – da una stella si liberano particelle ad alta energia, i raggi cosmici solari, che possono erodere l’atmosfera del pianeta vicino. Nel caso del Sole, la distanza della Terra è abbastanza grande e ci mette al riparo, mentre Proxima Centauri è più vicina al suo pianeta e l’effetto è distruttivo. Inoltre questa vicinanza provoca un’interazione delle maree tra la stella e il pianeta, per cui, come succede con Mercurio, il pianeta stesso mostra sempre la stessa faccia alla stella, ha una rotazione che è sincronizzata con il moto di rivoluzione e quindi quel pianeta potrebbe non avere un campo magnetico che lo protegge dai raggi cosmici, generato dalla rotazione su se stesso, come è il caso invece della Terra. Quest’ultima ha in più anche lo schermo dell’ozono per le radiazioni ultraviolette”.
Proxima Centauri, come stella più a portata di mano nello spazio, continua a suscitare grande interesse negli studiosi. Lo testimonia anche il progetto statunitense di lanciare verso di essa le vele solari microsatelliti alimentati da laser. “L’idea – conclude Claudi – vuole sfruttate il fatto che nello spazio la densità è talmente ridotta da essere sotto quella del vuoto, e la pressione esercitata sulle superfici dalle radiazioni non è superata dalla pressione del gas, che è assente. Per cui nel vuoto, se si spara una luce intensa su una superficie, in questo caso sulle vele, quest’ultima risente della pressione di radiazione, è sottoposta ad un’accelerazione e si muove. Con il chip attaccato alle vele, il progetto intende misurare la presenza o meno dell’ossigeno su Proxima Centauri“. Un’idea che piaceva molto anche al compianto Stephen Hawking.