Da quando ha cominciato ad avere tanti soldi Silvio Berlusconi si è autoconvinto che l’averli si traduce automaticamente in tanto potere.
Sostanzialmente non è difficile capire che ha ragione. Benché questo non sia scritto in nessuna legge e tantomeno in nessuna Costituzione democratica, è una regola non scritta che quasi tutti rispettano, e chi non lo fa è considerato uno “spostato”, uno che non sa stare al suo posto. E’ vero che i soldi da soli possono non bastare a conquistare o anche solo reggere il potere, ma è pur vero che bastano sempre per ottenere molto rispetto. Il servilismo, infatti, è una delle tecniche di maggior successo per salire i gradini della scala sociale e molti lo usano senza vergogna per compiacere chi ha tanto potere o tanti soldi.
Ma non sempre, dall’altra parte, chi ha tanti soldi ha anche solida cultura civile e democratica, anzi, spesso è proprio il contrario. Succede quindi sovente che il “riccone” finisca per circondarsi di frotte di personaggi bravi soprattutto a fare complimenti, piegare la schiena (e porgere le terga), finendo per convincere il ricco e potente che il suo potere è davvero speciale, che la sua superiorità, anche verso le comuni regole che tutti gli altri sono tenuti a rispettare, nel suo caso può essere molto “elastica“.
Qualcosa del genere deve essere successo l’altra sera a Berlusconi quando, insieme agli alleati Salvini e Meloni si è recato al Quirinale per presentare il programma che la coalizione da lui inventata intendeva realizzare da subito in caso di incarico a governare. Benché il capo della coalizione non fosse lui, e benché nei precedenti accordi lui avesse accettato di partecipare come alleato e non come capo delegazione, mentre Salvini parlava al microfono lui non è riuscito a contenersi disciplinatamente e ha debordato in tutto e per tutto, approfittando anche della cortesia istituzionale che impediva a tutti i presenti di fermarlo anche con la forza (come sarebbe successo a chiunque altro si fosse intrufolato in quella sala e avesse tentato di fare la sceneggiata che ha fatto lui).
Durante il discorso di Salvini continuava a gesticolare con la stessa insistenza e forza espressiva di quei “pisquani” che appena vedono una telecamera accesa cominciano a far “ciao” con la manina nella speranza, purtroppo sempre vincente, di richiamare l’attenzione degli spettatori. Solo che quell’attenzione non è mai coniugata con l’ammirazione ma solo con la commiserazione o il fastidio che si dà ai sempliciotti che si illudono di suscitare qualche interesse.
Ma Berlusconi può essere tutto meno che un sempliciotto, perché l’ha fatto dunque? Ce lo ha spiegato lui stesso subito dopo, quando a sorpresa, e con un atto di totale insolenza verso l’istituzione che lo ospitava (il Quirinale) si è impadronito abusivamente del microfono (rasentando l’eversione) e ha declamato la sua incredibile esortazione a rispettare le regole della democrazia (bell’esempio stava dando! E senti chi ci fa la predica!).
Considerando che era al Quirinale, cioè uno dei massimi templi laici della democrazia, con quella pagliacciata stava di fatto commettendo l’equivalente di chi bestemmia in chiesa.
Ma a quale democrazia si ispirava? Quella dei soldi? (chi ne ha di più comanda). O a quella delle “bufale” per il popolo bue? Cioè gli interessi partitocratici che lui continua da trent’anni a forgiare per mettere insieme coalizioni farlocche (il cui vero scopo non dice mai) invece che gli interessi popolari, o almeno categoriali, vera base di ogni seria democrazia.
La coalizione ha preso più voti, ma se la coalizione è falsa (adesso è ancora più evidente), la partita è ancora valida? Io dico di no.
Nell’editoriale di ieri il direttore Travaglio apriva un interrogativo inquietante sui reali motivi che impedirebbero a Salvini di dare un taglio netto all’ennesima coalizione (di interessi reconditi) inventata dal vecchio boss di Arcore. Nel caso i timori di Travaglio fossero reali, effettivamente un governo Di Maio-Salvini diventerebbe altamente improbabile, altrimenti se veramente Salvini-Di Maio avessero a cuore il bene dell’Italia e del loro popolo l’unica cosa che dovrebbero fare, e che entrambi hanno fin qui promesso di fare è: risolvere i problemi più urgenti che angustiano il popolo italiano, appianando le superabili differenze che li dividono e mettendo da parte per la prossima legislatura le maggiori differenze. Quelle potranno essere proprio le cose che li contraddistinguono e sulle quali potrebbero giustamente dividersi nella prossima legislatura per farsi preferire da chi oggi le reclama. Per gli italiani.
In cima alle priorità normative dovrebbero però mettere subito una seria legge elettorale, per evitare nuove tentazioni tipo PDR (partito di Renzi) e una seria legge contro i conflitti d’interessi e la concentrazione del potere mediatico in mano a chi fa politica. Senza quelle i due “leoni” esautorati avrebbero ancora troppo potere su chi si impegnasse a lavorare davvero seriamente per il popolo.