Secondo il Tribunale amministrativo regionale del Lazio il processo non avrebbe mai dovuto neanche avere luogo, viziato da una serie di irregolarità da parte della Procura generale e del Collegio di garanzia che hanno portato al suo annullamento
Il grande scandalo della danza sportiva si è risolto in una bolla di sapone: presidenti in carica e passati deferiti, dirigenti alla sbarra, tre gradi di giudizio. Tutto inutile: gli accusati sono stati prosciolti perché il processo non avrebbe mai dovuto neanche avere luogo, viziato da una serie di irregolarità da parte della Procura generale e del Collegio di garanzia del Coni che hanno portato al suo annullamento, come stabilito dal Tar del Lazio.
La vicenda è un tipico caso di guerre di potere all’interno delle federazioni sportive italiane, fra cui quella della danza (Fids) è senza dubbio una delle più litigiose e controverse. A fine 2016, nella tornata elettorale in cui ne sono successe di tutti i colori, era stato eletto per acclamazione Giovanni Costantino al posto del favorito Zamblera. Il Coni, però, aveva annullato il risultato, indicendo nuove elezioni a inizio dicembre, dove Costantino acclamato all’unanimità solo poche settimane prima, era stato battuto nettamente da Michele Barbone, vicino all’ex presidente Ferruccio Galvagno, radiato a vita nel 2011 per uno scandalo di gare truccate passato alla storia come “Danzopoli”. Proprio per quei rapporti sospetti, la Procura generale dello Sport guidata dal generale Cataldi aveva deciso di portare a processo praticamente l’intera classe dirigente della Fids, dal neoeletto Barbone agli ex Costantino e Zamblera. Nella smania di fare piazza pulita, però, la procura ha dimenticato un po’ il protocollo (strano, per uomini di legge), avocando delle indagini su cui non aveva competenza. I tribunali federali avevano annullato il processo per irregolarità, il Collegio di garanzia del Coni presieduto da Franco Frattini lo aveva rimesso in piedi, adesso arriva il pronunciamento definitivo del Tar che ribadisce i vizi formali e annulla una volta per tutte il processo.
In attesa dell’ennesimo ricorso al Consiglio di Stato, la sentenza della giustizia amministrativa rischia di avere degli effetti pesanti sulla giustizia sportiva e sulla sua struttura, che il Coni vuole sempre più centralizzata. Malagò ha già varato una riforma radicale nel 2015, che ha conferito molti più poteri alla Procura generale, e proprio nell’ultima giunta ha approvato ulteriori modifiche in tal senso: tra le più significative, la competenza diretta del Collegio di garanzia sui contenziosi elettorali, e la nomina dei membri federali da un elenco compilato dal Coni (mentre non è passata la possibilità per la Procura di impugnare tutte le delibere federali, che avrebbe di fatto aumentato a dismisura il potere di controllo del Coni). La sentenza del Tar, però, è molto dura nel censurare gli abusi commessi e “l’eccesso di potere” da parte di questi organi centrali: il procuratore Cataldi ha “impedito” alla giustizia federale di “continuare a svolgere l’attività di indagine”, mentre Frattini “pur di non sottrarre al proprio vaglio i fatti” (su cui non aveva competenza) ha “violato le regole del giusto processo”.