“Non è solo una questione di arretratezza tecnologica dell’hardware, in particolare di potenziamento della memoria, per la quale occorrerebbero maggiori investimenti per l’ammodernamento degli impianti. Ma le banche controllano i flussi di utilizzo dei sistemi online anche per non incidere sui costi di gestione ordinaria”.

Chi mi parla è un manager apicale della società che gestisce l’ICT (l’informatica) del gruppo Unicredit che ha deciso di mantenere l’anonimato. L’ho raggiunto all’indomani della sollecitazione ricevuta dai tanti utenti che si sono lamentati in rete e sulla pagina Facebook di Unicredit per i disservizi e i disagi vissuti in occasione delle festività pasquali. E stiamo parlando di una banca che rappresenta un’eccellenza in termini tecnologici nel panorama nazionale.

“In pratica, se il bancomat o altri servizi on line (bonifici, ecc.) non hanno funzionato durante le festività pasquali – ci riferisce il manager – i motivi sono due: o la macchina si è fermata perché non adeguata alle maggiori sollecitazioni e richieste dell’utenza oppure qualcuno ha deciso di non farla funzionare perché l’acquisto di una memoria aggiuntiva durante quel periodo costa troppo in relazione ai ricavi prodotti”.

Praticamente è come se la potenza del contatore dell’energia elettrica di casa nostra non riuscisse a sopportare le luci accese in tutte le stanze ed altri elettrodomestici attivati. Abbiamo due alternative: o cambiamo il contatore con uno di potenza superiore o decidiamo di spegnere qualche apparecchio. Ecco se qualche servizio on line non funziona, sappiate che qualcuno ha deciso di… spegnere le luci di casa perché non ha i soldi per poter cambiare il contatore.

Una dichiarazione che ci fa riflettere non solo sui disservizi “pilotati” dal management ma soprattutto sul confronto competitivo che nel prossimo futuro le banche dovranno sostenere. Occorreranno, infatti, ingenti investimenti e tanta redditività per farsi carico dei costi della gestione corrente e colmare l’enorme ritardo che le banche del nostro paese registrano rispetto agli standard garantiti dai colossi della Financial Technology.

La FinTech, ovvero l’insieme delle tecnologie attraverso le quali si forniscono servizi e prodotti finanziari, promette di mandare in soffitta il vecchio mondo del credito, superando la mediazione degli istituti tradizionali. In parole povere, si potrà fare a meno delle banche per investire il proprio denaro e per richiedere finanziamenti.

Quando si sveglieranno dal torpore gestionale i manager delle nostre banche? Troppo distratti dal rattoppare i buchi prodotti in vent’anni di scelleratezze: crediti in sofferenza, eccesso di personale, scarsa patrimonializzazione e ricapitalizzazioni, riduzione del numero delle filiali. Nel frattempo nulla di strategico, niente che abbia una visione di medio respiro.

Una domanda che dobbiamo porci è: l’hanno prevista, i potenti vertici del nostro sistema bancario, la tempesta che sta per abbattersi sul settore e che si chiama Fintech? Le banche non stanno facendo nulla per reagire a questo uragano che sta per abbattersi sul loro futuro. Eppure l’aria nuova arriverà e porterà sul mercato nuovi player che al momento nemmeno i loro migliori analisti riescono a identificare. Cecità che costerà lacrime e sangue.

E’ vero, le aziende della Fintech non sono ancora entrate in maniera preponderante nel nostro paese. Siamo all’anno zero rispetto ai paesi anglosassoni. E la ragione è molto semplice: per apportare modifiche in un settore come quello finanziario, che è altamente regolamentato, servono grandi capitali e spesso bisogna avere il coraggio di investire in aziende innovative che, pur avendo ottime premesse di crescita, all’inizio sono inevitabilmente in perdita.

Ma se la legislazione e il lobbismo possono frenare o limitare lo sviluppo delle startup, sicuramente non possono arginare lo tsunami creato da colossi come Apple, Facebook, Google, Amazon, Yahoo. Non difettano certo di grandi capitali né di coraggio, e infatti si apprestano a entrare nel mondo finanziario per stravolgerlo.

E se proprio i grandi colossi si sentissero scoraggiati dalle normative troppo rigide del settore bancario e dei servizi finanziari in genere (ricordiamoci che il legislatore è influenzato dalla lobby finanziaria), credete che sarà così difficile per loro aggirare il problema e comprarsi direttamente una banca?

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