L’ordine economico creato nell’era post 1945 si sta disintegrando. Si parla di tariffe doganali, di nazionalismo, di chiusura all’immigrazione. Ironicamente i principali campioni della globalizzazione sono stati i primi a segnalare il ritiro dalle sue fila a seguito della Grande recessione.

Il nazionalismo economico – storicamente popolare in tempi di crisi economica – è tornato in voga in Gran Bretagna, in Francia e negli Stati Uniti. Stiamo assistendo a un ritorno alla politica protezionistica antagonista che ha definito un’epoca passata e cioè lo sforzo a globalizzare il pianeta della fine del XIX secolo, un’epoca che si è conclusa con la Prima guerra mondiale.

Possibile che la ripresa protezionista alla quale assistiamo oggi minacci non solo l’economia globale, ma anche la stabilità mondiale e la pace? La risposta è tristemente positiva. Ed ecco alcuni esempi di nazional-protezionismo.

Il primo ministro britannico Theresa May (dopo la Brexit) ha annunciato una nuova strategia industriale, che include sussidi statali per determinate industrie e rigide restrizioni all’immigrazione sui lavoratori stranieri in “ogni settore e livello di abilità”.

Nelle ultime elezioni presidenziali francesi la stragrande maggioranza dei candidati offriva una piattaforma di patriotisme économique. Marine Le Pen, leader del partito nazionale di estrema destra condusse una campagna che univa la condanna della globalizzazione alla promessa di una rigida legislazione economica nazionalista e della fine dell’immigrazione in Francia. Il presidente eletto Emmanuel Macron ha fatto pressione per un Buy european act al fine di placare le forze francesi anti-globalizzazione.

Infine c’è Donald Trump, il campione della difesa della supremazia americana che ogni giorno ne spara una in difesa del made in America.

Ma i paralleli storici non finiscono qui. La complessità geopolitica mondiale (di cui la globalizzazione è madre) ha aperto il fianco a spinte politiche simili a quelle che hanno creato la Guerra fredda. Quest’ultima affonda le sue radici nella Seconda guerra mondiale, quando i ripetuti ritardi nell’apertura di un secondo fronte in Europa resero i russi sospettosi delle motivazioni degli alleati occidentali. Queste preoccupazioni si acuirono quando gli Stati Uniti interruppero gli aiuti di leasing e prestito all’Unione Sovietica subito dopo la fine della guerra.

L’impegno di Iosif Stalin a Yalta per consentire elezioni libere nell’Europa orientale fu presto rotto. Per assicurare “Stati amichevoli” ai suoi confini occidentali, l’Urss sostenne e aiutò a installare governi dominati dai comunisti in Polonia, Bulgaria e Romania nella primavera e nell’estate del 1945. Entro un anno – come disse Winston Churchill – una “cortina di ferro” scese in tutta Europa, separando le nazioni democratiche “libere” dell’Occidente dalle nazioni comuniste dell’Est.

La creazione di nuovi blocchi in Medio Oriente con la Turchia alleata alla Russia e all’Iran in Siria sembra riprodurre gli scenari della genesi della Guerra fredda.

Altro elemento importante della guerra fredda fu l’economia. Tra il 1948 e il 1951, oltre 13 miliardi di dollari furono incanalati in 16 Paesi attraverso il piano Marshall, contribuendo in modo significativo alla ricostruzione dell’Europa occidentale. Gli Stati Uniti erano pronti a fornire sostegno all’Urss e all’Europa orientale, ma l’Unione Sovietica rifiutò categoricamente di partecipare al programma di aiuti.

Il primo scontro diretto tra la Russia e l’Occidente avvenne in Germania. Nel 1948, la Gran Bretagna, la Francia e gli Stati Uniti iniziarono a fondere le loro zone di occupazione in uno stato unitario. Ed è questo l’elemento di dissonanza con il passato. L’Unione europea oggi è debole sia dal punto di vista economico (a causa delle spinte protezioniste) sia dal punto di vista politico. Esiste una spaccatura tra i Paesi occidentale e quelli dell’est europeo che mina la coesione dell’intera costruzione.

La versione moderna del protezionismo dell’inizio del secolo scorso e della guerra fredda della sua metà è meno chiara e più pericolosa per la stabilità mondiale. La chiave di volta è l’Europa: se questo blocco riesce a fare da mediatore tra Vladimir Putin e Trump allora forse una speranza di risolvere il caos geopolitico c’è; se invece la versione moderna del vecchio continente è debole, allora tutto è possibile, anche una nuova guerra per procura tra Mosca e Washington ai confini di casa nostra.

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