Mondo

Haftar, l’uomo forte della Libia, ha ancora da fare: conquistare Tripoli

La morte presunta poi smentita del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, per diverse ore ha rappresentato un durissimo colpo per lo scenario geopolitico dello Stato nordafricano.

“Il generale libico Haftar è ricoverato in un ospedale a Parigi, ma tornerà in Libia tra qualche giorno per continuare la lotta al terrorismo”. Lo ha dichiarato su Twitter il suo portavoce, Ahmed al-Mesmari, spiegando le circostanze che hanno portato al ricovero il generale.

Di sicuro è in atto uno stato di debolezza fisica di Haftar, l’unico finora in grado di attuare una operazione strategica fondamentale riuscendo a trovare alleanze con varie tribù come Mshait, Obeid, Fwakher, Drasa ma soprattutto Warfalla, la più numerosa tribù arabo-berbera libica. A queste va aggiunta anche quella dei Gharyan ormai distanti dal governo di unità nazionale guidato da Fayez al-Sarraj. Proprio la frustrazione di influenti tribù per l’esclusione dai ruoli di comando ha sicuramente contribuito allo scatenarsi di eventi poi precipitati nella guerra civile.

Il 75enne Haftar ne ha viste negli anni di cotte e di crude soprattutto accanto a Mu’ammar Gheddafi, quando fu uno dei principali alleati dell’ex dittatore e importante colonnello. Dopo il fallimento di una missione in Ciad fu però ripudiato da Gheddafi. A quel punto Haftar scappò negli Stati Uniti, passando all’opposizione.

Ricoverato giorni fa a Parigi per accertamenti, per diversi organi di stampa sarebbe poi morto. Pare comunque che alcuni clan a lui fedeli negli ultimi tempi si sarebbero messi contro, viste anche le sue delicate condizioni di salute che ne hanno rallentano l’operato. Sul piano militare ci sarebbero pesanti cambiamenti attraverso una vera e propria lotta alla successione.

La stessa missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia aveva annullato le voci sulla morte del comandante militare Haftar. La tv Pro-Lna 218 aveva riportato che Haftar era in “condizioni stabili” all’ospedale Percy di Parigi. La presunta morte di Haftar aveva preso piede quando il giornalista egiziano e membro del parlamento Mustafa Bakri aveva inviato le condoglianze in un tweet elogiando il generale.


Haftar per molti l’uomo forte della Libia – non solo per la sua carriera militare (in netto contrasto con il curriculum di al-Sarraj) ma anche per le alleanze, compresa quella di Mosca che vede nel felmaresciallo l’uomo in grado di ripristinare una certa stabilità – deve ancora portare a termine il suo programma puntando alla conquista di Tripoli, vero obiettivo finale.

Mentre Vladimir Putin si sta ritagliando un posto chiave nel Mediterraneo, l’Occidente – con in primis l’Italia – continua a supportare la parte debole e malleabile che però non è riuscita nell’obiettivo di ripristinare un clima diverso in Libia, dove la forte instabilità favorisce sbarchi clandestini e presenze jihadiste pronte a giocare un ruolo. Le stesse milizie jihadiste dell’Isis ormai sconfitte in Medio Oriente ma che proprio in Libia potrebbero ritrovare una nuova linfa soprattutto in questa fase di transazione.

Haftar (un po’ come Gheddafi) più che sugli aiuti internazionali da tempo ha intuito l’importanza delle alleanze tribali un modo per ridare un certo equilibrio al Paese, lo stesso modus operandi condotto prima di lui dal dittatore deceduto. Non a caso nel corso degli anni, Gheddafi aveva mantenuto salda l’alleanza con la tribù più numerosa quella dei Warfalla, attraverso l’elargizione di incarichi di prestigio a molti suoi appartenenti.