Flaminio de Castelmur per @SpazioEconomia
Tra poco verranno diffusi i dati del primo trimestre 2018 relativi all’occupazione. In questo frangente rivestono un’importanza particolare, visto che sarà il primo trimestre intero dopo la scadenza dei contratti agevolati sottoscritti per primi a seguito delle note norme collegate all’entrata in opera del combinato disposto Jobs Act.
Innanzitutto, ricordiamo che nel gennaio del 2015 il disposto della manovra Finanziaria previde per il 2015 un bonus contributivo triennale per le assunzioni stabili realizzate in quell’anno, grazie al quale i datori di lavoro poterono contare per tre anni su uno sgravio pari a circa l’intero ammontare dei contributi previdenziali a loro carico. In totale circa ottomila euro l’anno di risparmio dal momento dell’assunzione e per tre anni, per un risparmio di 24mila euro.
Da parte sua il Jobs Act dispose, tra l’altro, il venir meno delle previsioni dell’Art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, così che gli assunti da quella data in avanti avrebbero potuto essere licenziati pagando un’indennità proporzionata all’anzianità di lavoro. Ulteriore disposizione prevista fu l’abrogazione dell’obbligo di indicare la causale nella stipula di un contratto a tempo determinato – cioè il motivo per cui veniva contratto – e prevista la possibilità di massimo cinque proroghe entro il tetto dei 36 mesi. Risultato immediato di tali agevolazioni fu la crescita esponenziale dei contratti a tempo indeterminato nel 2015 – passati da 1 milione e 917mila nel 2014 a due milioni e 875mila con un saldo tra attivazioni e cessazioni rispettivamente di -113mila 332 e +776mila 922.
Tali dati tornarono a peggiorare nel 2016, con un calo di 925mila assunzioni indeterminate e un saldo negativo di dodicimila 359 contratti. Ancora peggio nel 2017 con 1 milione e 902mila attivazioni ed un saldo negativo di più di 62mila contratti. Molto più efficaci le norme sui contratti a tempo determinato, che hanno fornito un saldo positivo delle attivazioni passato da 338mila nel 2015 (evidente la preferenza data al contratto agevolato anche se a tempo indeterminato), a 530mila nel 2016 e 594mila nel 2017.
Possiamo trarre dei dati univoci da tali rilevazioni? Probabilmente che in questo frangente vale più una decontribuzione importante rispetto all’eliminazione di un vincolo di durata del contratto, meno rilevante in termini di impatto sulle assunzioni. Un’analisi scientifica dei dati emersi, si può trovare nel paper Hiring incentives and/or firing cost reduction? Evaluating the impact of the 2015 policies on the Italian labour market, pubblicato da Bankitalia su un lavoro di Paolo Sestino e Eliana Viviano.
In questo lavoro i ricercatori hanno verificato come le due misure (decontribuzione e Jobs Act) abbiano concorso, in misura uguale, al raddoppio del tasso mensile di conversione dei posti da lavoro da precari a fissi. Le nuove assunzioni con contratti permanenti del 2015 invece solo per 45% del totale possono essere attribuite alle due politiche, con il 40% derivato dalla decontribuzione e solo il 5% dalla nuova normativa delle interruzioni dei rapporti di lavoro.
Quest’ultima parte può essere definita strutturale? Si, se si pensa che il problema dell’art. 18 in precedenza avesse limitato le assunzioni. E si potrà capire la verità di queste deduzioni con i rilievi che verranno diffusi in questi giorni.
Più evidente, questo sì, il risultato del Jobs Act sulla composizione delle Aziende in termini dimensionali. Con l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori per i nuovi assunti con contratto a tutele crescenti c’è stato un netto aumento delle imprese private che hanno deciso si superare la soglia dei 15 dipendenti: secondo i dati Inps siamo passati da 8mila di fine 2014 a dodicimila nel 2017.
Un ultimo dato che potrebbe far pensare alla maggior valenza in termini di nuovi contratti della decontribuzione sulla libera licenziabilità, riguarda i contratti di apprendistato. Queste forme contrattuali, istituite per permettere ai giovani di usufruire di contratti di lavoro a tempo indeterminato ed imparare lo svolgimento di un mestiere, sono state da sempre supportate da sgravi contributivi ed agevolazioni volte ad incrementarne l’attivazione.
Se confrontiamo i numeri di tali contratti noteremo che nel 2014 – prima della decontribuzione legata alle manovre di quell’anno – le attivazioni furono 79mila e 460, trasformatesi in 42mila e 111 nel 2015 (anno di decontribuzione massima), per poi risalire nel 2016 con la riduzione dei vantaggi a 119mila e 90 (coprendo anche parte della riduzione di assunzioni stabili) e raggiungendo il numero di 147mila e 87 l’anno successivo (a fronte di un’ulteriore diminuzione di contratti stabili).
Le deduzioni sopra esposte non hanno ancora il supporto di dati scientifici univoci ma potrebbero indicare (se corretti dagli studi) una strada da seguire per il nuovo governo, sulla via di un aumento occupazionale importante e sostenibile. Sperando che l’aumento registrato a febbraio degli occupati a tempo indeterminato (superiore a quelli a tempo determinato) sia testimone di un’inversione di tendenza, incrementabile con politiche adeguate.