L’Italia non piace ai ricercatori europei. Il Paese di Leonardo da Vinci e di Galileo Galilei non attrae più chi si occupa dello sviluppo della ricerca scientifica. Meglio andare in Gran Bretagna, Germania, Francia o ancora in Svizzera e Spagna piuttosto che venire nella terra del sole e della pizza. Il dato arriva dall’Erc, European Research Council che nei giorni scorsi ha assegnato 653 milioni di euro a beneficio di 269 ricercatori senior in tutta Europa, dando loro la possibilità di realizzare le loro idee più creative e potenzialmente produrre risultati che avranno un impatto importante su scienza, società ed economia. Tra questi sedici italiani (cinque che si trovano all’estero e undici che svilupperanno i loro progetti in Italia) si sono aggiudicati l’importante finanziamento: un numero che ci classifica al quinto posto (in calo rispetto all’anno precedente dove eravamo terzi) dopo Gran Bretagna, Germania, Francia e Spagna. Il problema è che mentre nelle altre nazioni arrivano ricercatori da tutt’Europa, l’Italia è snobbata da tutti. Non solo. In alcuni casi (Gran Bretagna, Francia, Israele e Svezia) chi stando all’estero si è aggiudicato la borsa ha pensato di tornare in patria mentre i nostri cinque che hanno abbandonato il Paese non tornano.
Se poi guardiamo la situazione di casa nostra emerge un altro dato negativo: i progetti italiani saranno tutti sviluppati nei laboratori del Nord Italia. Zero al Sud. Unica consolazione è che il Cnr, il Consiglio nazionale delle ricerche, può vantare tra i 16 Advanced Erc un suo uomo: Andrea Cavagna. Il suo progetto, dal titolo RG.BIO: Renormalization group approach to the collective behaviour of strongly correlated biological systems, si colloca nell’ambito del settore disciplinare “Fundamental Constituents of Matter” e ha l’obiettivo di studiare, comprendere e classificare diversi fenomeni di comportamento collettivo biologico sfruttando l’analogia con le moderne teorie sviluppate nell’ambito della fisica statistica e dei fenomeni critici in particolare.
Chi prova a spiegare la mancata capacità di attrarre ricercatori da parte dell’Italia è il presidente del Cnr, Massimo Inguscio: “Dobbiamo focalizzare gli sforzi e creare luoghi di eccellenza: dall’estero vengono se trovano realtà ricche di connessioni scientifiche. Chi ottiene uno o due milioni di euro li deve poi gestire e fare i conti con la burocrazia italiana. Servono margini di manovra per essere più liberi. Chi viene dal resto d’Europa ha bisogno di trovare un luogo dove l’operazione sia sostenibile per il futuro. Dobbiamo investire per creare situazioni di eccellenza”.
Parole che vanno di pari passo con la mancanza di finanziamenti per la ricerca. La media europea è di 0,47% del prodotto interno lordo ma noi ci fermiamo con la Spagna allo 0,33%. Percentuale ben inferiore alla Svezia che investe lo 0,87% del Pil o la Germania con il 0,54%. “I soldi nella ricerca – spiega Inguscio – sono investimenti e non spese, soprattutto se riguardano il reclutamento di persone. Il Cnr raddoppia il suo bilancio rispetto ai soldi che arrivano dal governo grazie ai fondi europei ma i progetti per conquistare questi denari li fanno i ricercatori”.