Da Campo de’ Fiori a Centocelle il mercato è da sempre un luogo fondamentale della città di Roma, e non solo. Ai banchi di frutta, del pesce, di casalinghi si trovano spesso ‘mercatari’ di seconda o terza generazione i cui nonni anticamente arrivavano nelle piazze con i carretti da Trastevere e la sera stipavano le merci nei magazzini nelle vie adiacenti. Ma come stanno nel 2018 i mercati romani? Come sopravvivono alla concorrenza dei supermercati e dei negozi etnici aperti fino a tarda notte? Ha provato a capirlo l’ong Terra! onlus che si occupa di agricoltura sostenibile e biodiversità con il rapporto “Magna Roma”. “Ci siamo chiesti: come mangia il comune agricolo più grande d’Italia? – racconta a ilfattoquotidiano.it Francesco Paniè di Terra! – e ci siamo resi conto che il punto di incontro tra i consumatori e i produttori erano i mercati rionali di Roma che però ora si trovano in grande sofferenza per molti motivi”.
La ong Terra! Ha fatto un’indagine sui 127 mercati della Capitale cercando di analizzarne i problemi e di tirare fuori qualche proposta. “I mercati a Roma ospitano 5000 postazioni – spiega Paniè – ma 1000 di queste sono vuote, chiuse e questo perché il Comune non riesce a redistribuire le licenze. L’ultimo bando per le postazioni dei mercati è stato fatto nel 2013 ma i tempi di assegnazione sono stati lunghissimi, sono finite nel 2017. In questi 4 anni molti dei vincitori del posto stavano già facendo altro, avevano cambiato vita. Invece i mercati avrebbero una enorme potenzialità per giovani agricoltori, per artigiani, per associazioni. Il sistema dei bandi deve assolutamente cambiare per rendere accessibili le postazioni”. Nei mercati che ilfattoquotidiano.it ha visitato, i banchi vuoti e i chioschi con le serrande abbassate erano tanti. “Quando ci hanno spostato in questa struttura eravamo 22 – racconta Marco Mallozzi, pescivendolo e presidente del mercato di Largo degli Osci a San Lorenzo – ora siamo rimasti 9. Chi ha chiuso, chi è andato in pensione e il Comune non fa i bandi per riaprire. Non solo il quartiere ormai è il quartiere della movida e i giovani certo non vengono qui a fare la spesa”. Ogni quartiere ha la sua caratteristica e le sue problematiche ma ci sono anche delle forti resistenze per adeguarsi a un cambiamento che non è reversibile. “I mercati hanno ancora gli orari di 50 anni fa dalle 7 alle 13 – dice Paniè – e questo non è più sostenibile, in famiglia non c’è più la moglie che sta a casa, lavorano tutti e due e fino a tardi. È normale che al mercato non ci vadano e che ci siano ormai solo i più anziani”.
“Il mercato deve aprirsi – spiega a ilfatto.it Amedeo Valente presidente del Mercato Trieste di via Chiana – interagire con il quartiere, creare comunità attraverso eventi o luoghi d’incontro”. Il mercato Trieste è un esempio virtuoso in questo senso: negli ultimi quattro anni, grazie anche alla presidenza di Valente giovane produttore di formaggi laziali, ha iniziato a fare aperture pomeridiane e serali, ha messo su aree di book crossing, mostre fotografiche, ha promosso eventi culturali. “Solo così i mercati potranno vincere la crisi – conclude Valente – differenziandosi. Se si limitano a essere la brutta copia del supermercato, la gente preferirà andare al supermercato”.