Il trionfo elettorale non ha fatto bene solo ai partiti vincenti, M5s e Lega, ma anche ai loro leader, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, ritenuti sempre più affidabili dall’elettorato. A confermarlo – sul lungo periodo dal 4 marzo a oggi – è il sondaggio dell’istituto Ixè. E questo succede mentre i partiti tradizionali, nello stesso mese successivo alle elezioni, continuano a perdere consensi fino a cifre per certi versi inaudite: come quella del Pd, che piomberebbe al 16 percento, trascinando giù (o trascinato giù) anche dall’indice di fiducia nei confronti di Matteo Renzi, crollato all’ultimo posto tra i leader principali, dietro anche a personalità ormai offuscate, marginali o “carsiche” come Grillo, Berlusconi, Bersani.
Il M5s continua a crescere: 34%
Secondo Ixè il Movimento Cinque Stelle oggi è al 34 per cento, con un aumento dell’1,4 in un mese. Una tendenza messa in evidenza anche da altri sondaggi di queste settimane e che bisogna capire per quanto potrà continuare e se le trattative di governo – farraginose per definizione – rallenteranno la corsa, pur con numeri che danno ai Cinquestelle onori e oneri di quello che è di gran lunga il primo partito italiano.
Lega al 21, centrodestra oltre la soglia del 38
Infatti il secondo partito è la Lega che quindi sorpassa il Pd e con un balzo del 3,6 per cento tocca la quota del 21 per cento. Il Carroccio non ruba solo pezzi di elettorato a Forza Italia (come già si è visto alle elezioni), ma è evidente che recupera consensi da altri settori, probabilmente dall’astensionismo o magari anche dai Cinquestelle (che a loro volta ripescano dal non voto e dal centrosinistra). Per parte sua il partito di Berlusconi cala di quasi 2 punti e dal 14 scende al 12,2, mentre i Fratelli d’Italia reggono il colpo con un trend comunque positivo (4,6, +0,3). Sta invece per scomparire Noi con l’Italia-Udc, che dall’1,3 già modesto raccolto nelle urne passa allo 0,6. Quello che davvero conta, tuttavia, è che il bacino elettorale del centrodestra – messo tutto insieme – vale oggi il 38,4 per cento e – anche se con un po’ di variabili – potrebbe avvicinarsi alla soglia che può dare una maggioranza parlamentare (o che permette di avvicinarcisi).
Il centrosinistra depresso, il Pd in caduta libera
Infine la depressione del centrosinistra, il cui poster è naturalmente il Partito Democratico che in un mese vede scomparire altri due punti percentuali e ora arranca al 16,6. Voti del tutto dispersi, forse verso il non voto, forse verso il M5s. Non verso altre forze della coalizione perché PiùEuropa di Emma Bonino va giù dal 2,5 all’1,1 mentre le altre listarelle (Insieme e Civica Popolare) insieme valgono lo 0,7. Così succede che il centrosinistra raccogliticcio voluto da Renzi dal 22,3 messo insieme a fatica il 4 marzo crolla al 18,7 (-3,6). Qui il ragionamento si incrocia con le altre forze di quest’area perché Liberi e Uguali non sembra soffrire come gli altri partiti andati male alle elezioni: resta al 3,6, perfino con un lievissimo incremento a petto del risultato delle urne. Nello stesso momento c’è un salto triplo di Potere al Popolo che dall’1,1 delle elezioni passerebbe al 2,4 di oggi. Un’ipotesi è insomma che “Pap” possa rubare voti al partito di Grasso e che quest’ultimo usufruisca dei voti in uscita dal Pd.
Bacini potenziali: M5s al 44, Lega al 38
C’è poi un’altra analisi di Ixè che dà alcune indicazioni e riguarda i bacini elettorali potenziali dei partiti. Gli intervistati (mille) hanno indicato tutti i partiti che non escludono di votare. E succede che per la prima forza politica – il M5s – la percentuale sale dal 34 al 44 per cento: cifre raggiunte in passato solo da un grande partito di massa come la Democrazia Cristiana. Dall’altro lato è la Lega a registrare l’estensione più significativa rispetto al risultato del 4 marzo: dal 21 al 38. Guardacaso è proprio il numerino che indica il valore della coalizione oggi: significa che Matteo Salvini ha tutte le chance, sulla carta, di identificare tutto il centrodestra, nonostante il Vietnam al quale lo sottopone in queste settimane Silvio Berlusconi (fino alle scene fuori dalle consultazioni). In senso contrario si può vedere come il Pd, al massimo, oggi potrebbe raccogliere non oltre il 28 per cento potenziale: è il timbro sull’addio al sogno di ripetere l’exploit del 41 per cento delle Europee 2014.
Salvini e Di Maio, “i più affidabili”
Conseguenza o effetto di tutti questi dati è che i leader dei due partiti che stanno meglio in questo periodo sono quelli che raccolgono maggiore fiducia nell’elettorato. Salvini raccoglie il 39 per cento delle preferenze degli intervistati (e anche qui torna l’aderenza con il totale dell’elettorato del centrodestra), mentre Di Maio segue di poco, al 36, poco sopra ai valori del M5s. Un’impennata, per entrambi, rispetto a febbraio, ultimo dato utile. Salvini due mesi fa aveva un indice di fiducia del 25 per cento (quindi ha fatto un salto di quasi 15 punti), mentre Di Maio era al 29 e ha comunque avanzato di 7 punti.
Performance che permettono a entrambi di superare il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni che per un anno è stato primo e incontrastato in indagini di questo tipo. Naturalmente c’entra anche che Gentiloni, da capo del governo dimissionario, è praticamente scomparso dai media. In coda alla classifica – dopo Bonino, Meloni, Grillo, Berlusconi e Bersani – si trova Matteo Renzi che attualmente ispira fiducia solo al 18 per cento degli intervistati: a febbraio era al 23. Anche in questo caso tutto in linea con il momento del partito che ha diretto fino al 5 marzo.