di Antonino Iero*
Il dibattito sul debito pubblico italiano raramente ha brillato per lucidità. Senza voler riprendere la sterminata letteratura che lo riguarda, possiamo affermare che (in prima approssimazione) si affrontano due schieramenti: da un lato c’è chi ritiene che di esso non ci si debba preoccupare troppo e sostiene tale tesi a dispetto dell’evidenza; dall’altro ci sono quelli che lo considerano invece un problema, con sfumature anche molto diverse per quanto riguarda la sua rilevanza.
Sulle cause dell’esplosione del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo se ne sono sentite di tutti i colori: per i moralisti “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”; per i giustizialisti “sono i lavoratori autonomi che non pagano le tasse”; per i futuristi “viviamo sulle spalle delle future generazioni”; per gli austeritisti “c’è troppa spesa pubblica”; per gli integerrimi “è tutta questione di corruzione”; per i giovanilisti “si spende troppo per le pensioni”; e così via, ben oltre ogni limite d’immaginazione.
Vi è, tuttavia, un aspetto curioso che accomuna una buona parte dei commentatori che si (pre)occupano del debito pubblico italiano: essi sembrano nutrire uno scarso interesse verso le cifre che caratterizzano questo aggregato. In particolare, sembra esservi una relazione di proporzionalità inversa tra la veemenza con cui ci si scaglia contro il debito pubblico e l’interesse a capire come esso abbia raggiunto le dimensioni attuali.
Insomma, siamo nel tipico caso in cui ci si guarda bene dall’esaminare i numeri per evitare di offendere rispettabili opinioni precostituite. Eppure, ricostruire la dinamica del rapporto tra debito pubblico e Pil – anche per sommi capi come fatto nel presente lavoro – risulta sommamente istruttivo. E, a mio parere, fornisce preziose indicazioni sulla direzione da intraprendere per ottenere l’auspicata riduzione di tale quoziente.
Il parametro considerato per svolgere l’analisi è stato il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo, nella convinzione che questo esprima meglio di altri l’effettivo onere posto a carico delle finanze pubbliche, oltre a rappresentare la metrica più nota di misurazione di tale aggregato.
Ho pensato che fosse opportuno calcolare il peso delle determinanti che hanno condotto un Paese come l’Italia – contraddistinto da un sistema economico sufficientemente evoluto – ad accumulare una quantità di debito così elevata in un lungo periodo di (relativa) pace. A questo scopo, ho sviluppato lo studio a partire da una formula descrittiva della dinamica temporale del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo, così che la situazione all’anno 1 sia legata a quella dell’esercizio precedente (anno 0) secondo la relazione:
La variazione del rapporto tra debito pubblico e Pil – e qui devo ringraziare i miei collaboratori Emanuele De Meo e Verena Brufatto per la paziente e intelligente opera di ricostruzione dei dati – è stata scomposta attribuendone una quota a ognuna delle sue determinanti, in modo da capire il ruolo che vi hanno giocato e come esso sia evoluto nel tempo. Il contributo di ognuna delle variabili elencate (con l’ovvia eccezione del debito stesso e dell’ammontare del Pil) è stato calcolato isolandolo da quello delle altre, secondo il principio ceteris paribus. Gli effetti derivanti dalle correlazioni tra tutte le variabili sono stati invece sommati algebricamente alla componente residuo (Res) e – per semplicità di lettura – rappresentati nell’unica voce “residuo e correlazione”.
I calcoli sono stati eseguiti partendo dal valore debito/Pil della fine del 1979 ed esaminando le variazioni intervenute nell’intervallo temporale dei 37 anni che vanno dal 1980 al 2016 . Per comodità di lettura ho suddiviso tale arco temporale in decenni, in modo da offrire uno sguardo differenziato in relazione al diverso quadro economico e politico di ogni epoca (al quale si farà solo un fugace riferimento nei commenti).
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* Responsabile del Centro Studi e Analisi Economiche e Finanziarie di UnipolSai Assicurazioni
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