È giallo sulla morte di Maksim Borodin, giornalista russo di 32 anni che stava indagando sul ritrovamento di cadaveri di mercenari di Mosca in Siria. L’uomo, caduto giovedì dal balcone del suo appartamento al quinto piano di Ekaterinburg, negli Urali, non ha mai ripreso conoscenza ed è morto domenica a causa delle ferite. La polizia segue ufficialmente la pista del suicidio: “È improbabile che questa storia sia di natura criminale”, ha affermato il portavoce della polizia della regione russa di Sverdlovsk, aggiungendo che la porta dell’appartamento di Borodin era chiusa dall’interno e non c’è traccia di entrata forzata. Ma Polina Rumyantseva, la direttrice del giornale dove lavorava Borodin, il Novy Den, ha detto di non credere al suicidio e l’organizzazione Reporter senza frontiere ha parlato di “circostanze sospette”.
A marzo Borodin aveva scritto del ritrovamento di alcuni cadaveri, probabilmente di mercenari, mentre venivano trasportati in un villaggio siriano. Migliaia di mercenari sarebbero stati utilizzati in Siria e forniti da un’oscura società russa, probabilmente finanziata dall’oligarca Yevgeny Prigozhin, noto come lo “chef di Putin”. Si tratta di uno dei 13 russi indagati dal procuratore speciale degli Stati Uniti Robert Mueller nell’ambito dello scandalo Russiagate, accusati di aver finanziato “la fabbrica di troll” (disturbatori su internet) che avrebbero tentato di influenzare le elezioni presidenziali americane del 2016. I sospetti sulla morte del giornalista sono alimentati da un amico di Borodin, Vyacheslav Bashkov, che ha detto che l’uomo lo ha contatto alle 5 del mattino dell’11 aprile affermando che il suo edificio era circondato da “forze di sicurezza” con mimetiche e maschere per il viso. Un’ora dopo, tuttavia, Borodin lo richiamò dicendogli che si era sbagliato e che gli agenti di sicurezza stavano conducendo una specie di esercitazione.