Aveva deciso di andarsene di casa dopo un anno di matrimonio, perché aveva scoperto il marito navigare sul web in cerca di relazioni con altre donne. Ma per la Cassazione la donna non ha abbandonato il tetto coniugale, perché questa circostanza è “oggettivamente idonea a compromettere la fiducia tra i coniugi e a provocare l’insorgere della crisi matrimoniale all’origine della separazione“. La Suprema corte ha così respinto il ricorso di un ex marito, che voleva addebitare la causa della separazione alla moglie per violazione dell’obbligo di coabitazione dopo che la signora se ne era andata via piantandolo in asso su due piedi, appena scoperto che lui cercava altri incontri con compagnia femminile sul web. L’uomo, che ha una pensione di tremila euro mensili, chiedeva anche di eliminare l’obbligo di contribuire con 600 euro al mese al mantenimento della moglie separata, una signora benestante e molto più giovane di lui, ma gli ‘ermellini’ – con la decisione 9384 della Prima sezione civile – hanno confermato l’assegno.
Con questa sentenza è stato quindi convalidato il verdetto emesso dalla Corte di Appello di Bologna che nel 2014 aveva equiparato la navigazione sui siti d’incontri alla violazione dell’obbligo di fedeltà. In Cassazione, l’uomo, distinto signore in pensione ancora in cerca di avventure nonostante le sue recenti nozze con la giovane consorte, si è lamentato del fatto che i magistrati bolognesi avevano “ritenuto giustificato l’allontanamento della moglie dalla casa coniugale senza preavviso esclusivamente per la scoperta di un suo interesse alla ricerca di compagnie femminili sul web”.
Ad avviso del marito lasciato, “tale circostanza non era sufficiente a provare che l’allontanamento fosse dipeso esclusivamente da ciò, in assenza di pregresse tensioni tra i coniugi”. Ma il tentativo di “minimizzare la sua condotta” non ha sortito effetto. A nulla gli è valso, per cancellare l’assegno in favore dell’ex, far riferimento alla “breve durata del matrimonio, nemmeno un anno”, alla circostanza ammessa dalla stessa moglie “di svolgere lavori in nero”, al fatto che lei avesse “automobili di grossa cilindrata”, “quote di immobili“, un intero palazzo e “altre potenzialità economiche a lei favorevoli”. Il suo ricorso è stato dichiarato “inammissibile”.