Il governo di Pechino ha deciso di mettere fine al tetto del 50% di quote azionarie detenute da non cinesi, nelle aziende "miste" automotive. La road map prevede nel 2020 la liberalizzazione per quanto riguarda i veicoli commerciali, e nel 2022 per i veicoli passeggeri. Ma prima, entro fine 2018, semaforo verde per chi produce ibride ed elettriche
Stanno per finire i tempi delle joint venture paritetiche per le aziende automobilistiche in Cina. Il meccanismo che da anni consente ai cinesi di acquisire know-how industriale prezioso dal resto del mondo dando in cambio manodopera a basso costo e agevolazioni fiscali subirà delle modifiche profonde, stando a quanto dichiarato in una nota dalla National Development and Reform Commission e riportato dal sito specializzato Autonews.
A partire dal 2022, infatti, verrà eliminato il tetto del 50% stabilito nel 1994 al possesso di quote azionarie delle joint venture da parte dei costruttori stranieri, che potranno in questo modo entrare in maniera più “pesante” nel capitale delle stesse e avere quindi maggiore potere decisionale.
La road map del cambiamento prevede un primo step nel 2020, quando verranno rimosse le restrizioni alle aziende che producono veicoli commerciali, mentre nel 2022 sarà la volta di quelle che si dedicano alla fabbricazione dei veicoli per il trasporto di passeggeri.
Prima tuttavia, già dalla fine di quest’anno, toccherà ad un’altra categoria di costruttori, strategica per il nuovo corso di sostenibilità intrapreso dal governo di Pechino: quelli che fabbricano veicoli a basso impatto ambientale. Ovvero auto elettriche e ibride, anche nella variante plug-in. Un’ottima notizia per marchi come Nissan e la stessa Tesla, che tuttavia in questo periodo sta affrontando seri problemi, al punto di dover fermare per una settimana le linee di montaggio della Model 3 per interventi migliorativi sulla produttività.
Un paio di considerazioni sono, comunque sia, d’obbligo. Questa scelta riguarda anche l’industria navale e quella aeronautica, sempre entro fine 2018. Il che significa che la Cina ha ormai piena coscienza a 360 gradi del suo ruolo di prima economia mondiale e se ne assume la responsabilità. Anche se, ad onor del vero, farlo dopo aver introitato conoscenze tecnologiche per decenni è più semplice.
Per quanto riguarda l’auto, poi, non è detto che questa sia una buona notizia per le aziende estere: se è vero che potranno avere più libertà imprenditoriale e maggiori profitti, lo è altrettanto che ormai, dopo quasi 25 anni di meccanismo paritetico, la struttura industriale è ben delineata, e cambiarla significa rischiare di dare scossoni che potrebbero rivelarsi non troppo producenti per il business. Ricordiamoci che di solito sono i cinesi a fare affari, non il contrario.