Il deputato regionale 65enne del centrodestra è agli arresti domiciliari da lunedì sera con l'accusa di voto di scambio politico mafioso. Ma è anche al centro dell'inchiesta-bis sul remake delle elezioni a Siracusa - ottenuto a suon di esposti e grazie al quale nel 2014 riuscì a tornare all'Ars - oltre a essere a processo per truffa aggravata dopo le indagini su una sua società a Pachino
E’ riuscito a far ripetere le elezioni regionali in alcune sezioni del Siracusano e si è ripreso la sua poltrona nell’Assemblea regionale siciliana. Ha dribblato i sospetti sul Bingo gestito a Palermo insieme al figlio denunciando un clan per estorsione e chiedendo il porto d’armi per “non fare la fine di Libero Grassi“. E’ a processo con l’accusa di aver dato da bere acqua non potabile agli abitanti di Pachino. Nel frattempo ha anche conquistato il quarto mandato da parlamentare regionale con la bellezza di 6567 preferenze ottenute nel collegio della sua Siracusa. E’ Gennaro detto Pippo Gennuso, il deputato 65enne agli arresti domiciliari da lunedì sera con l’accusa di voto di scambio politico mafioso.
Partiamo dal 2012. Gennuso perde il suo seggio all’Ars. Ma a suon di esposti riesce a ottenere nel 2014 un clamoroso replay delle elezioni in alcune sezioni della provincia, Pachino e Rosolini, riconquistando lo scranno da parlamentare. Una storia su cui era stato aperto un fascicolo dal nome “Gennuso Gennaro +14“, in cui risultava indagato per corruzione in atti giudiziari e rivelazione di segreto d’ufficio. Le prime indagini portarono a un nulla di fatto, ma dallo scorso anno la procura di Palermo vuole vederci chiaro è ha affidato l’inchiesta-bis alla guardia di Finanza. Il gip Roberto Riggio ha chiesto di “approfondire” alcune attività di Gennuso, come scrive La Sicilia, dirette a “influenzare l’esito del giudizio presso il Consiglio di Giustizia amministrativa” che sancì il remake delle elezioni.
E questa nuova inchiesta risulta strettamente legata a quella delle procure di Roma e Messina che lo scorso febbraio ha portato a 15 arresti e ha fatto emergere il cosiddetto “sistema Siracusa“: due associazioni a delinquere dedite alla frode fiscale, reati contro la pubblica amministrazione e corruzione in atti giudiziari. Due nomi in particolare compaiono sia nelle carte di Palermo che in quelle della Capitale e della città sullo Stretto: gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, amici mai rinnegati di Gennuso. E fra le due vicende sembra esserci molto più di un collegamento: stessi nomi, ma anche stesse dinamiche.
Se tutto questo riguarda le precedenti elezioni, anche nelle ultime Gennuso non è rimasto lontano dai riflettori, entrando nell’elenco degli “impresentabili” che hanno permesso la vittoria di Nello Musumeci. Nell’autunno 2017, mentre il suo voto risultava tra quelli decisivi per dare una maggioranza al centrodestra, risultava indagato per truffa aggravata, adulterazione delle acque e frode nell’esercizio del commercio. Stando a quanto emerso dall’operazione “Acque salate“, lui e Walter Pennavaria hanno distribuito agli abitanti delle contrade delle zone limitrofe a Pachino acqua non idonea al consumo umano proveniente da un pozzo trivellato. Dopo vari rinvii, è cominciato il processo e durante l’ultima udienza, la Procura ha confermato il proprio impianto accusatorio.
C’è infine la storia del “Bingo Magic Star” di Palermo, acquistato da Gennuso insieme ai familiari nel luglio 2015. Ufficialmente il deputato non sapeva che all’interno della sala giochi il bar era gestito da personaggi riconducibili ad una cosca mafiosa palermitana. A dicembre dello stesso anno il politico siracusano e il figlio Riccardo denunciarono ai carabinieri problemi proprio nella gestione del bar. Nel luglio del 2016 i militari del Ros arrestarono il boss Cosimo Vernengo, il fratello Giorgio e Paola Durante, ex gestore del bar, accusati di avere chiesto ai titolari la cosiddetta ‘messa a posto’, cioè il pagamento del pizzo.
In Aula il figlio Riccardo il 13 febbraio scorso ha confessato di aver pagato il pizzo “per paura“. I legali degli imputati però hanno sempre sostenuto la tesi opposta: i soldi erano una legittima richiesta e non ci fu alcun clima di terrore, come emergerebbe dal tono confidenziale di alcune conversazioni intercettate. Il 22 dicembre 2016 lo sfogo di Gennuso dopo che il prefetto di Siracusa gli aveva negato il porto d’armi: “Ho denunciato i fratelli Cosimo e Giorgio Vernengo, figli del boss Pietro, capomafia del mandamento palermitano di Santa Maria di Gesù, che sta scontando l’ergastolo per omicidio, e sono stato lasciato solo. Non voglio fare la fine di Libero Grassi”, disse allora.
Nel frattempo nel giugno 2017 Gennuso ha denunciato un’altra tentata estorsione: un pagamento di 10mila euro chiesto per restituire due mezzi della sua impresa agricola che gli erano stati rubati. Nei giorni scorsi la Dda di Catania ha chiesto l’archiviazione nei confronti dei quattro indagati.