di Carblogger
Il cambio di amministratore delegato nel gruppo Volkswagen è dunque ufficiale. Ma già all’inizio della scorsa settimana – quando ha cominciato a circolare la voce che al vertice del gruppo tedesco Matthias Müller potesse essere sostituito da Herbert Diess – il mercato azionario ha risposto subito positivamente.
Non che Müller abbia fatto poco o male. A lui, ad esempio, si deve la costituzione di Moia, società per il ride sharing. Recenti dati di Alix Partners dimostrano che in America il car sharing è un business ormai maturo, il cui utilizzo è in calo a tutto vantaggio del ride sharing. Volkswagen, almeno su questo, è già pronta: ha venduto Quicar (il progetto per il car sharing) ed è pronta a fare concorrenza a Uber, con Moia appunto. Sempre a Müller si deve la svolta elettrica, o almeno il suo inizio. Müller ha traghettato Volkswagen fuori dalla melma del dieselgate, realizzando quello che può essere definito un vero e proprio “miracolo Volkswagen”.
Ma adesso, per far emergere ancora del valore dal titolo, c’è bisogno di altro. Sì, perché alla fine di questo si sta parlando: gli azionisti (e tutti coloro che hanno interessi nella società) cercano di massimizzare il loro investimento e per farlo adesso hanno bisogno di qualcosa che Müller non dà o comunque non dà abbastanza.
Ed ecco che subentra Diess, l’uomo che sta effettivamente dietro i numeri miracolosi del gruppo avendo guidato fino a oggi il marchio omonimo. L’uomo che ha negoziato coi sindacati e ha fatto accettare soluzioni critiche, sia in termini di tagli al personale che di taglio ai costi. Che ha dimostrato di saper gestire i conflitti. Lui potrebbe avere la capacità di far accettare quella riorganizzazione che tanti auspicano, che tirerebbe fuori altro valore e innescherebbe davvero l’inizio di una nuova era per la società e per gli azionisti.
Fior di analisti (già da molto tempo) si affannano a tirar fuori report usando la metodologia Sotp (Sum of the part) dalle quali emerge che la somma dei singoli pezzi di business di Volkswagen porterebbe valutazioni ben più alte delle attuali. Per farlo sarebbe necessario fare ordine tra i 12 brand del gruppo e ripulire un po’ la struttura societaria. Quel che ora il gruppo chiede di fare a Diess.
Per molti analisti, prima di tutto bisognerebbe scorporare il business dei camion (favorendo l’Ipo) e poi suddividere i marchi in aree diverse, come in effetti ora ha annunciato di voler fare Volkswagen: volume, premium e super premium. Forse Diess è l’unico che potrebbe far diventare una struttura ancora pachidermica più agile e snella, a tutto vantaggio di una struttura finanziaria più redditizia e magari vendendo anche i business non-core, come Ducati.
Müller non era l’uomo giusto perché è da 40 anni in azienda, dicono gli analisti. Serve qualcuno che abbia esperienze anche in altre realtà, qualcuno che sia capace di cambiare più profondamente la cultura aziendale: mantenere la “germanicità”, ma più aperta. Serve un uomo che possa parlare con Donald Trump ma anche con i cinesi. Perché i cinesi sono sempre in agguato: non solo hanno appena comprato quasi il 10% di Daimler, ma stanno entrando in tante aziende piccole e medie tedesche. E Volkswagen, se vuole rimanere l’ultimo baluardo di “germanicità”, ha bisogno di una vera svolta.