Per scegliere l'ultimo membro della Corte Costituzionale, che manca da un anno e mezzo, servono i due terzi dei voti di deputati e senatori. Nella votazione di oggi valanga di schede bianche, 784 su 828, mentre 11 preferenze sono andate a Raimondo Orrù, magistrato sostenuto da Fratelli d'Italia
La Corte Costituzionale rimane ancora ‘orfana’ di un giudice, quello che deve essere scelto dal Parlamento. Deputati e senatori riuniti mercoledì in seduta comune non hanno trovato l’accordo per il nome del quindicesimo membro della Consulta. Per eleggerlo serve la maggioranza dei due terzi, pari a 634 voti, mentre dal quarto scrutinio in poi il quorum scende ai tre quinti delle preferenze. Nella votazione di oggi ci sono state 784 schede bianche e 21 nulle su un totale di 828 voti espressi, mentre 11 preferenze sono andate a Raimondo Orrù, magistrato sostenuto da Fratelli d’Italia. Fumata nera anche per l’elezione di due componenti laici del Consiglio superiore della Magistratura. In tutti e due i casi sarà ora necessario un nuovo scrutinio.
Al Parlamento spetta nel complesso l’elezione di un terzo dei componenti della Corte, mentre gli altri giudici sono nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica e per un altro terzo dalle supreme magistrature. Anche se ufficialmente la loro nomina non è di natura politica, l’elezione dei giudici della Consulta da parte di Camera e Senato avviene dietro indicazione di un’area politica che cerca di far eleggere un candidato vicino alle proprie posizioni. Quella di oggi era la prima volta del nuovo Parlamento alla prese con l’elezione dell’ultimo componente della Corte. Ma il seggio della Consulta è vacante ormai da un anno e mezzo, ovvero da quando il 7 novembre 2016 si era dimesso il giudice Giuseppe Frigo.
Da quel momento non è ancora stato scelto il suo successore e la Corte ha dovuto prendere le sue decisioni con 14 giudici invece di 15. Un fattore non di poco conto, visto che per le pronunce della Consulta basta la maggioranza semplice, cioè la metà più uno dei voti espressi. In caso di una spaccatura a metà tra favorevoli è contrari, diventa decisivo il voto del presidente, che in caso di parità vale doppio. Un ruolo che in questo momento è ricoperto da Giorgio Lattanzi, subentrato lo scorso 8 marzo a Paolo Grossi. E a ranghi ridotti la Corte ha dovuto anche prendere la delicata decisione sull’Italicum, dichiarando incostituzionale la parte della legge elettorale che prevedeva il ballottaggio tra le due liste che prendono più voti.