Nuovo scontro tra il presidente Inps Tito Boeri, stavolta nelle vesti di economista del Lavoro, e i pentastellati. Oggetto del contendere, dopo le stime sui costi del reddito di cittadinanza, sono le ricette per il rilancio produttivo del Mezzogiorno. Il docente di Roma Tre Pasquale Tridico, indicato da Luigi Di Maio come titolare del dicastero del Lavoro in un eventuale governo M5s, dalle pagine del Sole 24 Ore contesta una ricerca sui divari Nord-Sud nella produttività del lavoro firmata dal numero uno dell’istituto previdenziale con Andrea Ichino, Enrico Moretti e Johanna Posch. Nel mirino soprattutto le conclusioni a cui arrivano i quattro economisti, cioè che servono deroghe ai contratti collettivi di lavoro in favore della contrattazione decentralizzata, per consentire alle aziende di pagare di meno i dipendenti al Sud.
Conclusioni che non possono piacere ai sindacati (con cui del resto Boeri si è scontrato più volte) perché depotenziare la contrattazione collettiva a favore di un salario minimo accompagnato dalla contrattazione aziendale ne ridurrebbe la centralità. E anche Tridico le definisce “profondamente sbagliate“, “non solo perché riporterebbero il Paese indietro verso le “gabbie salariali” degli anni 50 e 60 che hanno peggiorato drammaticamente i divari di reddito tra Nord e Sud”, ma anche “perché non trovano solido riscontro nell’evidenza empirica”.
Il professore di Economia del lavoro e politica economica, citando altri studi, scrive che nel Mezzogiorno i salari “sono già inferiori di circa 20 punti rispetto a quelli del Nord Ovest e di circa 15 punti “. Quanto al fatto che vivere al Nord costi di più, come argomentano Boeri e i colleghi nella ricerca che ne aggiorna una risalente al 2014, “lo studio approssima il costo della vita ad un indice che non dice nulla rispetto alla variazione dei prezzi all’interno delle stesse città”, mentre “i differenziali interni ad ogni area sono enormi” per cui bisognerebbe eventualmente – ma sarebbe impossibile – differenziare i salari nominali “in base al quartiere di residenza, piuttosto che alle due ore macro-regioni italiane”.
Fondamentale poi, secondo l’economista vicino ai pentastellati, considerare che il tenore di vita al Sud è compromesso dalla “qualità e quantità dei servizi e delle infrastrutture pubbliche e dal continuo sotto-investimento del Sud rispetto al Nord”. Dunque se anche il costo della vita fosse più basso, questo – è la tesi – rappresenta comunque un ostacolo insormontabile che scoraggia le imprese a spostare gli investimenti dal Nord al Sud.
Di qui la ricetta “neokeynesiana” di Tridico, secondo cui la priorità non è abbassare i salari al Sud. Cosa che peraltro “spingerebbe le imprese verso la facile scelta di intensificare gli investimenti labour intensive sfruttando il più basso costo del lavoro”. Risultato: nessun investimento in nuove tecnologie e nessun guadagno di produttività, anzi “nel lungo periodo la riduzione dei salari potrebbe portare a più bassi livelli di produttività”. Al contrario occorre investire sulle infrastrutture pubbliche e migliorare i servizi, oltre che “aggredire pesantemente la criminalità e migliorare l’efficienza di alcune amministrazioni locali”. Ricetta da accompagnare eventualmente, aggiunge l’economista, con un “Patto per la produttività programmata” con cui aziende, sindacati e governo dovrebbero “fissare ex ante obiettivi di produttività e crescita degli investimenti”.