Giustizia & Impunità

Marco Vannini, condannata tutta la famiglia Ciontoli. Al padre 14 anni per omicidio volontario

Si è chiuso così il processo di primo grado per la morte del ragazzo avvenuta l 18 maggio del 2015 a Ladispoli, vicino a Roma, nella casa della fidanzata dopo essere stato raggiunto da un colpo d’arma da fuoco

Una condanna a 14 anni per omicidio volontario, tre condanne a tre anni per omicidio colposo e una assoluzione. Si è chiuso così il processo di primo grado per l’omicidio di Marco Vannini morto il 18 maggio del 2015 a Ladispoli, vicino a Roma, nella casa della fidanzata dopo essere stato raggiunto da un colpo d’arma da fuoco. La condanna più pesante per il padre della fidanzata, Antonio Ciontoli, tre anni invece per la moglie Maria Pezzillo e per i figli Martina e Federico. Assolta la fidanzata di Federico Ciontoli. Il ragazzo, secondo la ricostruzione dell’accusa, morì dopo 3 ore di agonia a causa di un colpo di pistola sparato nella casa della fidanzata al termine di una cena di famiglia. Quattrocentomila euro la provvisionale decisa dalla corte come risarcimento ai genitori della vittima. “Vergogna, vergogna, è uno schifo come posso credere ancora nella giustizia. Mi hanno ammazzato un figlio a vent’anni. Vergogna!” le parole gridate da Marina, madre della vittima, contro i giudici. La donna si è allontanata in lacrime dal tribunale seguita da amici e parenti che con lei gridavano contro la sentenza. “Riconsegnerò la mia scheda elettorale perché mi vergogno di essere una cittadina italiana – ha affermato la donna -. Loro sono liberi, anzi sono sicura che stanno festeggiando, mentre mio figlio è morto a vent’anni. Quell’uomo ha fatto sì che mio figlio morisse, Marco urlava come un disgraziato in quella casa…e gli dai solo 14 anni?”. E ancora: “quale messaggio arriva dalla giustizia ai giovani? Che puoi uccidere chiunque e andare in giro come se niente fosse. Dentro quell’aula c’è scritto che la giustizia è uguale per tutti. Maledetta quella notte e maledetti loro. Fatevi sentire perché non è giusto che paghino solo le mamme a cui ammazzano i figli. Ho sempre confidato nella giustizia, ma oggi capisco che la giustizia è dalla parte di chi uccide”.

Il 21 marzo scorso la procura aveva chiesto cinque condanne. Davanti ai giudici della prima corte d’Assise di Roma, il pm Alessandra D’Amore aveva sollecitato una pena a 21 anni di carcere per il capofamiglia Ciontoli, sottufficiale della Marina Militare. Chiesti 14 anni per la moglie Maria Pezzillo e i due figli, Martina (fidanzata di Vannini) e Federico. Tuti accusati di concorso in omicidio volontario. Per Viola Giorgini, l’accusa aveva chiesto due anni di carcere (con sospensione della pena) per omissione di soccorso.

Il 21enne venne portato in ambulanza, secondo l’accusa, al punto di primo soccorso di Ladispoli oltre un’ora dopo lo sparo. E ai soccorritori i Ciontoli avevano detto una serie di bugie: che il giovane era scivolato, poi che aveva avuto un attacco di panico dopo uno scherzo, e che si era ferito con un pettine. Ciontoli ammise che il giovane era stato colpito da un proiettile solo davanti al medico di turno: la ferita che aveva sotto l’ascella destra, a prima vista, non lasciava pensare a un colpo di arma da fuoco, ma il giovane, che secondo quanto detto in aula dalla madre indossava abiti diversi rispetto a quando era uscito di casa, aveva perso oltre due litri di sangue. Il proiettile aveva ferito gravemente il cuore e i polmoni, ma se il giovane fosse stato trasportato subito in un pronto soccorso di secondo livello, adeguato ad affrontare la situazione, con tutta probabilità si sarebbe salvato.

La famiglia Ciontoli su cosa successe la sera della tragedia “ha sempre e solo mentito, ai soccorritori prima, ai carabinieri poi – ha detto la pm durante la requisitoria- l’accertamento dei fatti ha risentito di questo atteggiamento menzognero”. Dopo lo sparo che ha colpito il giovane, trapassandogli il torace, “hanno taciuto tutti la verità, supportando con il silenzio e le menzogne l’operato del padre mentre Marco emetteva urla disumane”. “Avrebbero potuto chiamare il 118 dicendo subito quello che era successo perché lo sapevano, tutti e quattro, invece hanno scelto di mentire”, sottolinea l’accusa, ricordando che, secondo i periti, “il tempestivo soccorso avrebbe potuto con grande probabilità salvare il ragazzo“. Il tempo perso, solo perché “Antonio Ciontoli temeva di perdere il lavoro”, è stato fatale.